Da vent’anni il nome di Sylvester Stallone è inciso su una delle stelle della Walk of Fame di Hollywood, la strada dedicata agli artisti di fama mondiale. Prevedibile che il suo recente arrivo in Italia, nella Capitale, dove assieme al collega Robert De Niro ha presentato il suo ultimo film Il grande match, sia stato accolto con enorme entusiasmo e affetto, nel corso di un’affollatissima conferenza stampa.
Hai una lunga e gratificante carriera alle spalle. Che cosa ti spinge ad accettare i nuovi personaggi che ti vengono proposti?
«In questo periodo della mia vita non potrei non tenere conto della mia componente emotiva. Cerco di portare in scena tutto il mio vissuto, con l’obiettivo che possa impreziosire la pellicola a cui lavoro. Oggi, rispetto agli inizi della mia carriera, sono sicuramente un uomo e un professionista migliore rispetto a quello che ero in passato. Per questo è naturale che molte più cose mi coinvolgano e mi colpiscano a livello interiore».
Uno dei messaggi del tuo ultimo film, Il grande match, è che la vecchiaia può rappresentare il giusto momento per rimettere al proprio posto tante cose nella vita.
«Spesso si comprendono meccanismi e dinamiche della vita solo quando questa sta per volgere al termine. Ed è naturale, di conseguenza, chiedersi come mai sia stato possibile capirla così in ritardo, quando ormai non è più possibile applicarvi una determinata soluzione di cui prima si ignorava l’esistenza».
Un altro messaggio lanciato dal film è la seconda possibilità. Ricordi una seconda chance che ti è stata data nel corso del tuo percorso umano e professionale?
«Anche io ho vissuto momenti alti e momenti bassi durante il mio percorso professionale. Una seconda chance mi è stata data sicuramente nel 2006, quando ho avuto l’opportunità di portare sul grande schermo la pellicola Rocky Balboa. È sempre bello quando ti viene data una possibilità nel momento in cui sei consapevole di avere ancora tanto da dare e da offrire».
A proposito del pugile Rocky, uno dei personaggi più importanti della tua carriera: tornerà mai sul grande schermo?
«No, non credo ci sarà mai un Rocky 7, però in questo periodo stiamo valutando l’idea di uno spin-off che potrebbe avere come protagonista uno dei personaggi della famosa saga del pugile. Ma, in ogni caso, si tratterebbe di un progetto drammatico, completamente differente».
Tornando a Il grande match, tu e Robert De Niro interpretate due vecchi pugili rivali che ritrovano sul ring dopo tanti anni. Come pugile, tra i due, chi è stato più bravo?
«In realtà, credo che la nostra resa sul ring dipendesse da chi aveva dormito maggiormente e meglio la notte prima delle riprese!».
Sono sempre più numerosi i film incentrati sulla terza età. Secondo te come mai?
«Perché sono tante le persone che nel corso di tutti questi anni sono cresciute con noi, con i nostri film, ed è naturale che le stesse oggi desiderino ritrovare tutte le proprie problematiche affrontate sul grande schermo».
Robert De Niro è uno degli attori più amati e apprezzati a livello mondiale e ogni suo ritorno nel Belpaese è motivo di festa per i tantissimi estimatori italiani. Robert De Niro, con l’amico e collega Stallone, di recente ha presentato a Roma il suo ultimo film Il grande match, lasciandosi andare a qualche riflessione su carriera, vita e terza età.
Nel tuo nuovo film, Il grande match, tu e Sylvester Stallone interpretate due vecchi pugili rivali che si ritrovano sul ring dopo tanti anni. Come pugile, tra i due, chi è stato il più bravo?
«Senza ombra di dubbio Stallone, visto che in passato ha potuto maturare una certa esperienza sul ring. Per questo, non posso che ringraziarlo per tutti i consigli che mi ha dato, ai quali naturalmente mi sono sempre attenuto».
Come mai la boxe funziona così bene sul grande schermo?
«Perché la boxe è un po’ il simbolo della battaglia con la quale ciascuno di noi, quotidianamente, deve fare i conti».
Contrariamente a Stallone, sei entrato a far parte del cast de Il grande match soltanto in un secondo momento. Com’è nata questa avventura professionale?
«Ho sentito parlare per la prima volta di questo film durante un party e sin da subito il progetto ha stuzzicato la mia curiosità. A quel punto, ho detto al regista Peter Segal di inviarmi un copione. Una volta letto, l’ho subito trovato interessante e così ho deciso di lavorare a questa bella pellicola».
Per esigenze di scena, per il film Toro scatenato avevi dovuto prendere qualche chilo mentre per Il grande match hai dovuto perderne. Quale delle due cose è più difficile?
«Sono state tutte e due difficili, visto che guadagnare peso non è facile, anche se il senso comune suggerirebbe di no. Posso garantire, sulla base della mia esperienza, che è decisamente complicato. Quando, invece, si tratta di perdere chili, gli ultimi quindici sono i più ardui».
Hai una lunga e gratificante carriera alle spalle. Che cosa ti spinge ad accettare i nuovi personaggi che ti vengono proposti?
«Mentre prima mi mettevo alla ricerca di progetti interessanti, inseguendoli anche per lassi di tempo molto lunghi, adesso non è più così. Generalmente, tra tutte le proposte lavorative che mi fanno, cerco di capire se qualcuna di esse possa realmente interessarmi. Certo, i ruoli che interpreto oggi sono ben diversi da quelli di trent’anni fa, ma con tutta questa tecnologia digitale, chissà: magari, un domani, potrei ricominciare a farli».
Sono sempre più numerosi i film incentrati sulla terza età. Secondo te come mai?
«Perché si tratta di un pubblico molto numeroso, quello della terza età, che è cresciuto con noi. Per il resto, generalmente, quando raggiungi una determinata età, non ti danno più gli stessi ruoli che ti offrivano in passato, nonostante tu ti senta ancora molto importante. Abbiamo un pubblico che ancora ci segue, e questo è ciò che conta. Un pubblico che comprende anche dei giovani, non solo persone della nostra età».
Hai rimorsi e rimpianti legati alla tua carriera?
«No, legati al mio percorso professionale, non ne ho. Ne ho però qualcuno legato alla vita privata, ma non mi piace raccontarli in giro».
Greta Milelli per Vero