Si erano incontrati a una festa al Country Club di Montgomery, in Alabama: lei, Zelda Sayre, figlia di un giudice, era bionda, minuta, vita sottile, collo lunghissimo, occhi azzurri, pelle di porcellana. Emanava elettricità, energia. Lui, Francis Scott Fitzgerald, era un soldatino di ventidue anni, fresco di università a Princeton, e l’uniforme gli donava. L’aveva amata all’istante e dopo un tormentoso corteggiamento l’aveva sposata, aprendo una lunga stagione di viaggi e tradimenti, deliri e sperperi, rose e champagne. Il suo primo romanzo, Di qua dal paradiso (1920) era stato considerato un capolavoro. Dopo Il Grande Gatsby (a Cannes il 15 maggio il film di Baz Luhrmann, protagonisti Leonardo DiCaprio e Carey Mulligan) Fitzgerald passò la vita a inseguire
il successo, ci riprovò con Tenera è la notte, morì senza averlo ritrovato. Alla fine degli anni ’30, deluso, alcolizzato, scriveva stanche sceneggiature hollywoodiane per tirare avanti e pagare le cure di Zelda, che entrava e usciva dalle cliniche con una diagnosi di schizofrenia. Pensava a lei, e c’era un po’ di lei in tutte le languide eroine dei suoi libri. Zelda lo tradiva per noia e sbadataggine, lo accusava di rubare le idee dal suo diario, tentava il suicidio, ma poi implorava: “Voglio che tu mi indossi, come un talismano alla catena dell’orologio o come un fiore all’occhiello davanti al mondo”.
Alfonso Signorini, direttore di Chi e narratore di grandi storie femminili (Coco Chanel, Maria Callas) è l’ultima vittima del fascino implacabile di Zelda. «Non sapevo niente di lei» racconta, «l’editore mi ha proposto il libro, e ho incontrato una passione distruttiva, malata, di assoluta intensità». È nato così Amore, folle amore. La scandalosa storia di Zelda e F. Scott Fitzgerald (Mondadori, pp. 299, !18.50).
L’intervista integrale su Tu Style n. 19, in edicola da mercoledì 8 maggio