Cold case: troppi omicidi sono ancora irrisolti. Molti, moltissimi, riguardano donne. Dietro, una lunga serie di indagini incagliatesi o sbagliate, cui nemmeno le nuove tecnologie hanno permesso di rimediare. Come per Lidia Macchi, ventuno anni, studentessa di giurisprudenza, attivista di Comunione e Liberazione. Il 5 gennaio 1987 chiede ai genitori la loro Panda per andare a trovare un’amica all’ospedale di Cittiglio.
Il padre le dà anche 10.000 lire per la benzina. Lidia, va dall’amica, esce. E sparisce. La trovano due giorni più tardi in una strada sterrata: sportello aperto, quadro dell’auto e spia della riserva ancora accesi, il corpo a terra, coperto dai cartoni. Hanno infierito su di lei con 29 coltellate. Si cercò invano l’assassino anche nell’ambiente dei sacerdoti. E già allora si sperava che il dna potesse aiutare a risolvere la vicenda, ma il caso non fu mai risolto. La medesima cosa che accadde sempre in Lombardia, ma nella bergamasca, a Clusone. Nella notte del 31 luglio ’93, viene uccisa nella sua casa di montagna Laura Bigoni, 23 anni: 9 coltellate, di cui 4 alla gola, una al petto, tre al ventre e una all’inguine. Dopo il delitto l’assassino l’ha cosparsa con la lacca e ha tentato di darle fuoco.
Sembrano i tratti di un omicidio passionale. E a processo va infatti il suo fidanzato, elettricista e pompiere volontario, Gian Maria Negri Bevilacqua detto Jimmy, che ha al contempo una relazione da tempo con un’altra ragazza, ma che viene dipinto come gelosissimo. Viene condannato in primo grado, ma poi assolto definitivamente. Da allora non è mai stato ipotizzato alcun volto per l’assassino. Forse, per darglielo, con nuove tecnologie potrebbero essere rianalizzate le tracce sul letto, tra i reperti bruciati, sul contenitore di lacca, a caccia di microtracce di dna. Così come per il caso di Nada Cella, segretaria, 25 anni: il 6 maggio 1996, in un palazzo di via Marsala, a Chiavari, è agonizzante in ufficio. Qualcuno le ha fracassato il cranio con almeno dieci colpi poco prima delle 9. Non si tratta di una rapina – l’ufficio è in perfetto ordine- né di tentato stupro, perché la giovane è ancora in jeans e camicetta. Quando il suo datore di lavoro, il commercialista Marco Soracco, arriva, poco dopo le 9, e la trova coi capelli sporchi di sangue, pensa ad un incidente. Immagina che sia caduta e chiama il 113. Presto finisce però nell’inchiesta: la sua posizione sarà archiviata dopo 14 mesi, mesi nei quali si dirà sempre pronto a qualsiasi test per dimostrare la propria estraneità al delitto. Con lui sono molti ad entrare ed uscire dall’indagine: una dirimpettaia subito prosciolta; una vicina con problemi mentali, con identica sorte. Il guaio vero è che, siccome si era pensato inizialmente ad un incidente, la madre del commercialista, che abita al piano superiore, era stata autorizzata a pulire il sangue schizzato sul pianerottolo. Il vetraio adiacente al palazzo aveva lavato il marciapiede, mentre i barellieri avevano contaminato l’interno dell’ufficio per prestare soccorso alla vittima: il risultato è che le tracce dell’assassino non si trovano. Si ascoltano oltre 150 testimoni, poi il caso finisce archiviato. Due anni e mezzo fa la notizia che le nuove tecnologie avrebbero potuto aiutare a riaprire le indagini, in particolare le analisi su un bottone, una nuova perizia sul pc della ragazza, e il ritrovamento un dna femminile ritrovato sulla camicetta di Nada. Non se ne è saputo più nulla. Rimane il caso spinoso di Meredith Kercher, uccisa a Perugia. La Cassazione ha appena annullato l’assoluzione in appello di Amanda Knox e Raffaele Sollecito. In attesa delle motivazioni, in galera c’è l’ivoriano Rudy Guede, condannato in abbreviato definitivamente per omicidio in concorso. Con chi, al momento, resta un mistero.
C’è un sacco di gente che aspetta giustizia. Solo alle donne dobbiamo pensare? Voglio dire, non dovrebbero avere tutti quanti giustizia? È la solita discriminazione al contrario. Per carità massima comprensione alle persone dei fatti esposti, ma meditiamo. Tutto per tutti, MAI cittadini di serie A E SERIE B
il femminicidio andrebbe giudicato con una legge ad hoc come l’omicidio di gay o quello stradale