Sono da poco passate le nove di lunedì mattina quando il giovane seminarista Mario Toso si accorge che dai bagni del blocco G dell’Università Cattolica continua a scrosciare acqua dal rubinetto. Sale le scale e varca la soglia: davanti a lui trova il corpo senza vita di Simonetta Ferrero, 26 anni, laureatasi proprio lì, due anni prima, in scienze politiche. È il 26 luglio del 1971. Simonetta, si scoprirà poi, è morta da due giorni.
Qualcuno l’ha uccisa tra le 11 e le 13 del sabato. Non si scoprirà nient’altro: né colpevole, né forti sospettati, nemmeno il movente. L’assassino, o l’assassina, l’ha colpita con 33 coltellate e poi è sparito senza lasciare tracce.
Quel sabato c’erano quattro muratori (pure loro interrogati invano insieme ad almeno altre 300 persone) che facevano dei lavori poco distante con un martello pneumatico. Nessuno sente perciò un urlo, nessuno vede niente. Simonetta non è stata rapinata, su lei non c’è alcun segno di violenza sessuale. Si pensa ad un maniaco comunque e, dalle indagini, emerge un quadro inquietante di guardoni che quotidianamente assediano le studentesse, tra cui perfino un seminarista ricoverato poi in psichiatria.
Ma tutti hanno un alibi. Si scava allora nel passato della vittima. E anche qui si scopre che la sua vita era uno specchio: impiegata alla Montedison, non aveva fidanzati, faceva sport, seguiva la musica, nelle ore libere si dedicava al volontariato. Il giorno del delitto disse ai genitori che doveva dirigersi in due negozi e poi a prendere delle dispense per un esame di un’amica. Invece nessuno la vede. E l’amica racconterà che la vicenda delle dispense era stata risolta.
Quando le forze dell’ordine si trovano così al punto di non sapere nemmeno perché quella maledetta mattina Simonetta fosse entrata in Ateneo, il caso inevitabilmente si chiude. Non si saprà mai se avesse dato appuntamento al suo assassino.
Solo nel 1993 una lettera anonima giunge in questura: è l’accusa contro un prete che molestava diverse universitarie proprio in quei giorni e successivamente allontanato. Ma non c’è nome. Le ricerche in ogni direzione si fermano un anno più tardi. L’assenza di testimoni, tracce, sospetti e moventi lo farà tristemente definire come l’esempio del delitto perfetto.