Una macchina del tempo. O quasi. La leggenda che affascina scrittori di fantascienza e non solo, era una specie di enorme televisione capace di captare le immagini del passato, compreso quello più remoto, attraverso un complesso sistema di onde elettromagnetiche, visive, sonore e luminose: fu battezzato Cronovisore. E presentato al mondo come la madre di tutte le invenzioni. Invece si rivelò il padre di tutti i misteri, che implicò grandi uomini di scienza, di fede e di cultura in una spy story senza eguali. Una spy story pazzesca cui in molti ancora credono, passando la vita alla ricerca della “macchina del tempo” scomparsa.
Padre Pellegrino Ernetti, l’inventore del Cronovisore
L’ANNUNCIO
Tutto comincia nel 1972, quando su La Domenica del Corriere il monaco benedettino Pellegrino Ernetti annuncia la costruzione del cronovisore avvenuta sedici anni prima. Con questo apparecchio, grande come un camion munito di antenne, avrebbe rivisto immagini sfuocate di Mussolini, Cicerone, Pio XII e persino le scene della passione di Cristo fino alla crocifissione. Il settimanale pubblica anche una foto del volto, che però si dirà poi trattarsi di un falso. Come prova fornita dal monaco c’è comunque la ricostruzione della parte mancante del Thyestes, una tragedia di Quinto Ennio, rappresentata a Roma nel 169 avanti Cristo e mai giunta per intero fino a noi: l’avrebbe ricaptata lui attraverso la macchina. I principi del funzionamento fanno perno sulla filosofia e la matematica di Aristossene e Pitagora, e sono basati sulla scomposizione dell’onda luminosa: qualsiasi oggetto resterebbe impressionato dalla luce, conservandone memoria. Dalla luce nascerebbe il suono e tutta la realtà: guarda caso è il principio della Genesi biblica. Dio creò la luce. E dalla luce la materia.
«Gli antichi avevano capito tutto, – dice il monaco- ma non avevano i mezzi per dimostrarlo» afferma sicuro. Follia? Andiamoci piano. Ernetti non è un monaco qualunque, anzi: esorcista di fama mondiale, fisico di valore internazionale e docente universitario dell’unica cattedra di musica prepolifonica al mondo, creata appositamente per lui dal conservatorio Benedetto Marcello di Venezia. Di più, da quanto dichiara alla stampa, al suo progetto avrebbe partecipato un équipe di dodici scienziati, tra cui alcuni premi Nobel. Chi?
Alcuni nomi li farà in un libro anni più tardi il teologo francese François Brune, legato ad Ernetti da un amicizia durata trent’anni: Wernher Von Braun, padre dell’industria missilistica e pioniere delle imprese spaziali americane, e nientemeno che Enrico Fermi. Un gruppo di menti geniali riunite per mettere a punto una macchina, concluse Ernetti, da mostrare a tutti quando anche gli americani che conducevano medesimi esperimenti, fossero giunti ai medesimi risultati. Affascinante, ma anche inquietante: cosa succederebbe infatti se attraverso il cronovisore verità di fede venissero smentite e segreti di Stato rivelati? Si scatena il finimondo. Ernetti si chiude in un religioso silenzio e decide di non parlarne più. Perché? Si era trattato forse di uno scherzo?
REWIND
Il “falso” volto di Cristo captato dal Cronovisore
Passano diciassette anni. E nel libro Come le pietre raccontano del 1989 (Gribaudo), un fisico dell’Accademia Tiberina, Don Luigi Borello, spiega la possibilità teorica della cronovisione, basandosi sulla memoria lasciata dall’impressione luminosa. Ernetti tace ancora. E lo farà fino alla morte, sopraggiunta nel 1994. Le domande allora tornano, più sinistre. Per quale ragione un cattedratico stimato come Ernetti si sarebbe dovuto inventare tutto, screditandosi agli occhi del mondo? E perché, successivamente, decidere di tacere fino alla morte? Fu costretto da qualcuno? Le domande sono lecite, perché, tolto di mezzo il cronovisore, Ernetti continuò a pubblicare e a insegnare, rivestendo ruoli cruciali nell’ambiente vaticano. Curò pure per la Conferenza Episcopale la stesura ritmica dell’ultima versione della Bibbia. Si affida la cura delle Sacre Scritture a un mitomane? No, naturalmente no. Il mistero è solo all’inizio.
Anno 2002. L’allora direttrice del mensile Astra, Rudy Stauder, dichiara in un’intervista: «Conobbi Ernetti al monastero dell’isola di San Giorgio, in cui viveva. Dopo molte insistenze accettò di parlare del cronovisore, ma in terza persona, in un congresso del mio giornale a Riva del Garda. Gli chiesi se potevo vederne il funzionamento, ma rispose che era impossibile. Primo, perché la macchina non era mai stata a San Giorgio; e secondo perché era stata divisa in tre parti e per riunirla si doveva avere l’approvazione di tutti i soggetti che avevano partecipato alla realizzazione, tra cui alcuni membri delle università di Padova e Roma». Aggiunse la Stauder: «Ernetti conduceva esperimenti di metafonia, una tecnica che permetterebbe di sentire le voci dei morti. Sono noti, perché è stato scritto e mai smentito, quelli che fece insieme a Padre Agostino Gemelli, dell’Università Cattolica di Milano. Un giorno mi descrisse l’aldilà. E me lo descrisse come un luogo estremamente luminoso. Era un uomo che non aveva la minima paura della morte». La cosa si fa complicata. Voci di trapassati, macchine del tempo scomparse, scienziati e monaci uniti. Ma nessuno che lo abbia visto, questo cronovisore. E tra i suoi parenti, qualcuno ne saprà qualcosa?
A CACCIA DI MISTERI
Rocca S.Stefano
Rocca Santo Stefano, mille abitanti, si abbarbica sulla cima di un colle romano, ad una sessantina di chilometri dalla Capitale. Qui, dove nacque Ernetti, la gente lo ricorda bene: gli hanno intitolato la banda musicale e la via centrale del paese, che collega la piazza ai giardini pubblici: “Pellegrino Ernetti, musico- fisico”. Pullman di visitatori vengono mensilmente a porgere fiori sulla sua tomba. Il nipote, Aprilio Ernetti, persona di rara cortesia, non si sottrae ad alcuna domanda. Di misteri si interessa da sempre, ma in maniera molto scettica, tanto da essersi abbonato alla rivista del Cicap, i “nemici” del paranormale. Ma la prima cosa che lo sorprende nel ricordare l’illustre parente, è un’altra: «Non pensavo che la figura di zio fosse così seguita, quasi come un santo. Quando tornava da noi non parlava del lavoro, era un classico rientro in famiglia». Ma delle voci dei morti registrate su nastro magnetico, che pensa?
Allarga le spalle. E sorride. «Posso raccontarle un episodio noto. Mi’ zio faceva esperimenti con Padre Gemelli…» Sì, ma… «…aspetti. Un giorno, mentre conducevano quest’esperimento, Padre Gemelli sentì la voce di suo papà, defunto, dirgli “testone”. Di più: “testone” era proprio l’appellativo con il quale da bambino il padre lo richiamava…per farla breve si spaventarono. E andarono da Paolo VI che li autorizzò a proseguire». Gli studi sui suoni sono alla base, oltre che della metafonia, anche del cronovisore. E in paese tutti sembrano essere certi della sua esistenza. «Ne so poco- prosegue Aprilio-. Mi disse che l’aveva costruito con altri scienziati, tra cui un certo Cumar dell’università di Padova». Forse è lo stesso Raffaele Cumar con il quale Ernetti scrisse diversi libri di prepolifonia: i libri che Aprilio conserva ancora nella biblioteca personale del monaco, stipata in cantina. E i libri che ancora oggi costituiscono la base essenziale, a livello mondiale, per la conoscenza della prepolifonia.
Aprilio Ernetti, il nipote dell’inventore
L’ULTIMO SEGRETO
Immaginando di credere al funzionamento del cronovisore, visto che i volumi sono degli anni 70, verrebbe da chiedersi se la minuziosità di questa conoscenza non derivasse proprio dal fatto dalla “proiezione” del Thyestes, tale ad permetterne successivamente la ricostruito della partitura. Aprilio racconta: «Un giorno, spinto dalla curiosità, glielo chiesi: “Come funziona?” Disse che si poteva scegliere l’anno e il luogo e poi mettere in funzione la macchina. Le immagini le vedevi per intero e tu potevi far avanzare, come con una telecamera, il personaggio che più ti interessava. So che sembra magia, ma, mi sono domandato: forse non era considerata magia dall’uomo comune anche la prima televisione? Quante cose non riusciamo a spiegarci non avendo ancora le cognizioni necessarie? Era una questione di luci e materia».
Un po’ come il principio dell’aerodinamica, gli fanno eco in paese alcuni esperti, e delle scie lasciate dagli aerei per i quali è possibile ricostruirne il passaggio. Quello per il quale un corpo, passando in un campo magnetico, lo modifica lasciandone un ricordo. «Solo che qui puoi scegliere qualsiasi luogo e qualsiasi tempo. Anche un tempo breve. Una volta zio mi confidò di aver usato il cronovisore per vedere cosa accadeva in casa di un suo amico questore. Pochi minuti più tardi lo chiamò e gli riferì ciò che aveva visto, lasciandolo di sasso». Un Grande Fratello orwelliano, capace di eliminare privacy e segreti: che si spieghi così la scomparsa della presunta macchina del tempo? «Zio conosceva un po’ tutti in politica e nel settore scientifico. Io ero orgoglioso perché sulla sua agendina dei telefoni, il mio veniva prima di quello del capo del governo».
Aprilio mostra i documenti, le cassette delle sue conferenze. «Guardi questo- dice sventolando dei fogli e una copia dell’Osservatore Romano-. È un discorso che zio scrisse per il Pontefice, poi pubblicato sul quotidiano della Santa Sede, nel 1971». Accadde quindici anni dopo i lavori al cronovisore.
La tomba di Pellegrino Ernetti, tuttora visitata da diversi fedeli
E la cosa si fa più interessante. Perché certo, poteva sfuggire agli alti livelli vaticani che il curatore della stesura ritmica delle Sacre Scritture fosse considerato un mitomane; ma lo stesso non può dirsi se quella stessa persona scrive un discorso che deve pronunciare il Papa. Lì i controlli devono essere rigorosi: sul curriculum dell’autore, ma anche sulla sua personalità. E non c’è dubbio che i controlli furono in effetti rigorosi. La conclusione è evidente: Ernetti non fu mai preso per mitomane, folle o mattacchione dal Vaticano. E la sua attendibilità mai messa in discussione. Per questo il suo silenzio fino alla morte alimenterà la madre di tutte le leggende: l’esistenza del cronovisore.
Aprilio conclude: «A mia zia Germana, suora, zio riferì che è stato smontato in tre parti e portato in Svizzera. Di più, davvero, non so». Nessun testamento o documento? «No, probabilmente ha lasciato qualcosa agli scienziati che lavorarono con lui. A me sono arrivati solo gli oggetti personali. Me li portò direttamente l’abate di San Giorgio. Ma le pare che se avessi avuto in mano una cosa del genere non l’avrei mostrata al mondo? Sarebbe una rivoluzione scientifica e sociale. Io gli credo, era un uomo di una cultura spropositata. E il rimpianto è che oggi, mezzo secolo dopo, quasi tutti quelli che lavorarono al progetto saranno morti. Un nome lo ricordo bene, il professor De Matos, portoghese. Ma sinceramente non so come poterlo rintracciare…». Nessuno, purtroppo, lo ha mai identificato.