Panorama

I MISTERI DI LOS ROQUES

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los roques

Ci sono 93 miglia quadrate, un rettangolo a sud ovest della barriera corallina dell’arcipelago di Los Roques. È qui che è partita in queste ore l’ultima decisiva ricerca dell’aereo scomparso nel nulla nel 2008, con otto italiani a bordo. Un mistero lungo e quasi dimenticato fino al 4 gennaio scorso, quando, lo stesso giorno di cinque anni fa, un altro aereo è svanito sulla rotta di Los Roques, Venezuela, tra le mete turistiche più esclusive al mondo.

A bordo c’erano sei persone, tra cui Vittorio Missoni e la moglie Maurizia Castiglioni, in viaggio con una coppia di amici, Elda Scalvenzi e Guido Foresti.

È accaduto alle 11,30 di mattina, a dieci miglia a sud dell’arcipelago. L’aereo, guidato dal pilota German Merchan e dal co-piolta Juan Fernandez, era un bimotore Islander YV2615 BN-2 del 1968. Piloti esperti. Secondo il comandante della Guardia Costiera Raul Rivas le condizioni meteo erano buone. Un altro pilota, certo Enrique Rada, ha sostenuto che potrebbe essere stato un fulmine ad abbatterli e di aver visto l’aereo avvolto tra le nubi.

Di certo si sono messi al lavoro 400 uomini al lavoro per 900 miglia da scandagliare. Ma da allora, nessuna traccia.

La cronache dei primi momenti raccontano tre dettagli curiosi: il primo riguarda l’assenza di un gps dell’aereo. Il secondo l’ipotesi che a bordo ci fosse una persona in più, secondo quanto ha dichiarato in un’intervista lo stesso Rivas: e cioè il figlio di un noto designer di gioielli, proprietario di una catena di alberghi. Il terzo dettaglio è che pare che un sms sia stato ricevuto dal fratello di una delle vittime tempo dopo la scomparsa: si tratta di un messaggio automatico che arriva quando un cellulare torna raggiungibile.

Tre dettagli che, insieme al giorno della scomparsa, riportano tutti a quanto accadde il 4 gennaio 2008, quando un aereo carico di italiani svanì nel nulla sulla stessa tratta.

Coincidenze sinistre.

E forse è meglio ricominciare dall’inizio.

 

REWIND

narcosLa mattina del 4 gennaio 2008 un Let 410 parte da Caracas diretto a Los Roques. Alla guida c’è il capo dei piloti della Transaven, Esteban Acosta. Alle 9,23 comunica di essere a 7000 piedi, poi passa sotto la torre di controllo di Los Roques. Esattamente un quarto d’ora più tardi lancia il mayday: ha entrambi i motori fuori uso ed è già sceso a 3000 piedi. Strano, perché i motori non vanno mai in avaria contemporaneamente. Strano, perché per scendere dai 7000 ai 3000 piedi ci vogliono 7 minuti. Perché non ha dato segnali prima? Di fatto l’aereo svanisce. Solo tre mesi più tardi si scopre che alle 9,23 il pilota aveva detto a Caracas anche un’altra cosa: sull’aereo erano in diciotto e non in quattordici. A Caracas dicono che sicuramente il pilota ha sbagliato, di sicuro le registrazioni video obbligatorie dell’aeroporto nel frattempo sono state cancellate. Le indagini non portano a nulla. Fino a quando non viene ritrovato sulla spiaggia di Falcon, mar dei Caraibi, il cadavere di Osmen Ovila, il copilota. Sempre che sia lui.

 

UN CADAVERE STRANO

Dovrebbe essere rimasto 9 giorni in mare. A 400 metri c’è il suo salvagente. Come ha fatto, il salvagente, che ha un peso del tutto diverso, a seguirlo per 370 km? I parenti delle vittime si avvalgono della consulenza di un esperto di incidenti aerei, il comandante Mario Pica, che fa tutte le prove per capire come sia possibile che il salvagente abbia seguito il cadavere. Spiegazioni non ce ne sono.

Ma è il meno. Al corpo, i pescecani hanno mangiato con estrema “precisione” solo le braccia e la faccia, tralasciando però la parte più molle, il ventre. E il non cadavere è rimasto né vestito né nudo, ma in mutande. Un cadavere seguito incredibilmente da un salvagente dotato di luci stroboscopiche, sfuggite tuttavia alla ricerca nella zona di tre elicotteri, sette aerei e nove navi.

Non basta. Secondo l’autopsia Avila sarebbe morto immediatamente per una fortissima botta che gli avrebbe sfondato il cuore: ma non ci sono ematomi sul petto. Di più: non c’è acqua nei polmoni. Quindi non è annegato. È stato infine identificato non dalla moglie, che anzi ha negato che fosse il marito, ma dal cugino, sottufficiale della marina, che lo ha riconosciuto grazie alla catenina e all’orologio: pare che l’arcata dentaria coincidesse con un’ortopanoramica di Avila spuntata fuori a morte avvenuta. Succede altro, come accadrà nel 2013: nonostante la Protezione Civile venezuelana escluda che i telefoni di passeggeri ed equipaggio abbiano emesso segnali dopo l’impatto, avvenuto poco prima delle 10 di mattina, tempo più tardi un ingegnere a capo della ditta che faceva le ricerche, rivela che il cellulare del copilota Avila aveva agganciato la cella di Gran Roque due ore dopo l’impatto. Il rapporto sul segnale è tronco: non rende cioè comprensibile tipo di segnale e dettagli utili a capire il perché si sia attivato.

 

Che cosa è accaduto allora all’aereo?

Forse, una cosa che, a prima vista, sembra impossibile.

Il rapporto venezuelano sulle scomparse degli aerei, prima parte
Il rapporto venezuelano sulle scomparse degli aerei, prima parte

Ma appare nero su bianco in un documento dell’organizzazione sudamericana Rescate, che vi mostriamo, segnala il dirottamento in Venezuela, dal 1958, di ben 67 aeroplani, cui si aggiungono i due con i nostri connazionali.

Seconda parte del rapporto venezuelano sulla scomparsa degli aerei
Seconda parte del rapporto venezuelano sulla scomparsa degli aerei

A volte gli aerei sono poi stati recuperati: in Colombia. Equipaggi compresi. Talvolta vivi, salvati dagli indios o ritrovati nella foresta. Erano state vittime dei narcoavionetas, pronti a prendersi l’aereo per trafficare la droga volando sotto i radar. Storie di coca, sangue e buchi neri: perché, più spesso, degli aerei non si è saputo più nulla. Come del Cessna del 2 marzo 1997, stessa tratta Caracas-Los Roques, a bordo gli italiani Mario Parolo e Teresa De Bellis, e, curiosamente, il fondatore della Transaven, Efrain Rodriguez: tutto sparito, se si eccettua  il corpo di un passeggero australiano. Trovato morto, ma senza acqua nei polmoni. E non basta. Il documento della Rescate, aggiornato solo fino all’aprile 2004, parla di otto aerei svaniti nel nulla dall’agosto del ’99. Solo uno fu recuperato, l’ultimo. Di tutti c’è matricola, luogo di partenza e sparizione. Ma di nessuno di quelli, sulle agenzie di stampa, c’è nemmeno la notizia della scomparsa. E per tutti l’ipotesi fatta è “narco guerriglia”. Possibile che gli aerei siano diventati merce dei narcos?

Se sull’ultimo che ospitava Vittorio Missoni, la moglie e gli amici è ancora troppo presto per pronunciarsi, su quello svanito nel 2008 è impossibile non prendere in considerazione un’ipotesi del genere. In un Paese dove accade di tutto, dove i narcoavionetas cercano mezzi per viaggiare sotto i radar e dove la vita umana vale nulla: nella sola Caracas si contano in media trenta omicidi a settimana.

 Manuel Montero

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