Molti ne rimarranno sorpresi, ma Charlie Chan è, dopo Sherlock Holmes, il detective della narrativa con più trasposizioni cinematografiche, ben 47.
Il personaggio creato da Earl Derr Biggers scivola di due posizioni, scalzato dal Commissario Maigret e da Perry Mason, se si tiene conto dei film per il piccolo schermo: sono oltre duecento, infatti, le fiction televisive in cui compare la creatura di George Simenon, compresa quella, mitica, della Rai interpretata da Gino Cervi, e più trecento gli episodi per la tv in cui Raimond Burr impersona il brillante avvocato penalista di Denver.
Va sottolineato che a Charlie Chan fu dedicata, negli anni 50, una fortunata serie televisiva, Le avventure di Charlie Chan, realizzata da una coproduzione statunitense e britannica, con 39 episodi.
L’Ispettore creato da Biggers conta anche un serie a cartoni animati realizzata da Hanna-Barbera negli anni 70, Il Clan di Charlie Chan, oltre a svariate versioni a fumetti.
Tutto ciò considerato, si può ben dire che Sherlock Holmes e Charlie Chan, impegnati in coppia in “Sherlock Holmes, Charlie Chan e il salvataggio del Titanic” sono i più mediatici tra i detective della pagina scritta.
Lo straordinario appeal “massmediologico” di entrambi è dimostrata altresì dal fatto che la loro bibliografia è molto più scarna della filmografia: Arthur Conan Doyle ha scritto appena quattro romanzi e cinque raccolte di racconti col suo famoso investigatore, mentre sono soltanto sei i romanzi dedicati da Earl Derr Biggers a Charlie Chan.
Proseguendo nel paragone, mentre Sherlock Holmes continua ancora oggi a comparire sul piccolo e grande schermo ( è annunciata l’uscita, nel 2020, del film “Sherlock Holmes- l’ultima investigazione”, mentre dal 2010 al 2017 la televisione britannica ha mandato in onda la serie “Sherlock” con Benedict Cumberbatch) la fortuna di Charlie Chan con la narrazione visiva, se si eccettua, oltre alle già citate serie tv, il film con Peter Ustinov del 1981, “Charlie Chan e la maledizione della regina drago”, è tutta concentrata negli anni dal 1931 al 1949, periodo in cui il personaggio ha dato vita ad un vero e proprio filone hollywoodiano , con un paio di film all’anno.
Prima di entrare nel merito del “boom” cinematografico di Chan, e del successivo declino, è opportuno chiarire se e come Holmes e Chan abbiano tratti in comune che possano giustificare una collaborazione.
Nelle due storie che ho dedicato al sodalizio tra Sherlock Holmes e Padre Brown, “Sherlock Holmes, Padre Brown e il delitto dell’indemoniata” e “Sherlock Holmes, Padre Brown e l’ombra di Dracula”, l’incontro tra l’investigatore per antonomasia e il prete detective per eccellenza è basato sulla scommessa che i loro metodi investigativi, del tutto antitetici, potessero fondersi in una miscela di particolare efficacia; per quanto riguarda Holmes e Chan il discorso è un po’ più complesso.
Incominciamo col dire che, cronologia della loro vita “immaginaria” alla mano, Holmes avrebbe potuto incrociare la sua strada con Charlie Chan.
Il primo, infatti, risulta essere nato intorno al 1852/54, il secondo nel 1875.
L’unico problema, non insuperabile, è che Holmes viveva nella capitale inglese e Chan a Honolulu in un’epoca in cui i viaggi da un continente all’altro non erano così rapidi ed agevoli.
Detto questo, è incontestabile che i rapporti tra i due si presentano come più problematici di quelli tra Holmes e Padre Brown, e non solo perché il personaggio di Biggers è separato da quello di Doyle da un oceano mentre quello di Chesterton abita a un centinaio di chilometri dalla residenza holmesiana di Baker Street a Londra.
Le origini orientali di Chan lo allontanano radicalmente e profondamente da un epigono della mentalità occidentale come Holmes.
Si può star certi che quest’ultimo, con la sua incrollabile fede nella capacità della ragione umana di interpretare e quindi dominare i fatti, avrebbe mal digerito la flemma e la fatalistica remissività, tutte cinesi, con cui Chan attende che la verità, sempreché voglia, si faccia conoscere.
Ma attenzione.
In quanto ispettore della polizia di Honolulu Chan è un immigrato cinese perfettamente inserito nella realtà americana.
A prescindere che sia o meno un sangue misto, come io immagino, i suoi modi e la sua saggezza orientale non possono che accompagnarsi ad una logica e soprattutto una determinazione tutte occidentali.
Ciò giustifica il sospetto che la sua cerimoniosa umiltà sia un paludamento per far abbassare le difese di testimoni e sospettati.
Tornando ai motivi per cui il personaggio di Biggers sia finito nel dimenticatoio dopo essere sopravvissuto al suo autore per quasi vent’anni, e con un successo sconosciuto alla sua versione letteraria, secondo taluni ciò dipenderebbe dal fatto che è venuta meno la ragione della sua popolarità.
Charlie Chan avrebbe così tanto bucato lo schermo, negli anni 30 e 40, perché primo personaggio cinese “positivo” in una iconografia che, fino ad allora, aveva sempre rappresentato gli esponenti del “Divino Impero” nei panni di creature oscure e malefiche, come nell’ esempio, tipico, di Fu Manchu.
Dal primo dopoguerra, l’immagine della Cina e dei cinesi sarebbe stata pienamente sdoganata da questo pregiudizio “razzista”, con la conseguenza che l’interesse per Chan sarebbe calato.
Il personaggio di Biggers sarebbe anzi andato incontro ad una “demolizione” critica poiché perpetuava comunque, pur sotto l’apparenza buonista, lo stereotipo della diversità orientale.
Assai criticata anche la scelta di affidare l’interpretazione di Chan ad attori occidentali truccati ad hoc, come lo svedese Warner Oland.
Queste argomentazioni non convincono appieno.
Credo che Charlie Chan non sia sopravvissuto come “star cinematografica” alla vera e propria rivoluzione avvenuta nei costumi e nella cultura del dopoguerra, riflessasi puntualmente nell’industria cinematografica.
La moria di popolari personaggi dell’epoca d’oro del cinema in bianco e nero è ben più generalizzata.
Comunque, Charlie Chan ha dimostrato di possedere potenzialità non effimere, come dimostra la già citata serie televisiva degli anni 50, che molti ricordano con piacere nel suo passaggio sugli schermi italiani.
Mi sono messo nell’impresa di scrivere “”Sherlock Holmes, Charlie Chan e il salvataggio del Titanic”, nella convinzione che la creatura di Biggers potesse ancora avere qualcosa da dire.
Ho trovato stimolante la figura di un investigatore così orgoglioso delle sue origini cinesi da non farsi scrupolo di mantenere, ed anzi coltivare l’accento tipico e i modi della sua terra, pur operando negli Stati Uniti, culla del mondo occidentale.
Senza per questo far la fine– anzi! – del pesce fuor d’acqua.
Soprattutto, ho pensato che il confronto con la più classica delle figure di detective, Sherlock Holmes, potesse dimostrarsi particolarmente fertile.
Non nego mi abbia stimolato anche cimentarmi nel pezzo forte di Chan, l’abitudine a inquadrare ogni situazione con curiosi ma incisivi proverbi cinesi, che poi così cinesi forse non sono…
Senza trascurare che la presenza di Chan in un’indagine di Holmes avrebbe innescato dinamiche particolari col dottor Watson, costretto a confrontarsi con un personaggio ben più attrezzato di lui come spalla investigativa del celebrato amico.
Veniamo all’argomento del romanzo, ovvero il “caso Titanic”, il più famoso disastro navale della storia.
L’inchiesta si svolge nel febbraio del 1912, quando il naufragio di quel piroscafo, soprannominato l”Inaffondabile”, in partenza il 12 aprile per il suo viaggio inaugurale, era inconcepibile.
La “strana coppia” di investigatori ha così modo di penetrare nei più importanti, controversi retroscena della tragedia.
Soprattutto, ha ancora tempo per evitarla…
Rino Casazza
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