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La Bibbia di Mauro Biglino: Dio è un astronauta?

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Mauro Biglino

La Paleoastronautica è una teoria suggestiva secondo cui la vita intelligente sul nostro pianeta avrebbe un’origine extraterrestre.

Si tratta di un’alternativa sia alla teoria dell’evoluzione, che postula un percorso continuo, innescato dal caso e poi guidato dalla selezione naturale, dalla materia inorganica alla vita intelligente, sia alle religioni, che attribuiscono la nascita dell’uomo all’atto creativo di una divinità.

La Paleoastronautica fatica a ricavarsi una dignità autonoma rispetto a entrambe.

Infatti, l’osservazione delle specie animali ha mostrato prove inequivocabili della loro progressiva mutazione per adattarsi all’ambiente, pur mancando la scoperta, per i cambiamenti qualitativamente più significativi, del c.d. “anello di congiunzione”.

La Paleoastronautica, invece, non è ancora riuscita a fornire prove certe sul ruolo di creature dello spazio nella comparsa sulla Terra dei nostri antenati, o comunque di una loro improvvisa virata, artificialmente indotta, verso la razionalità autoconsapevole.

Inoltre le religioni, pur non essendo in grado dimostrare scientificamente (nemmeno lo vogliono…) l’esistenza di Dio, possono tuttavia attribuire la lacuna alla scelta imperscrutabile dell’Essere Assoluto, libero, in quanto tale, di cancellare o confondere le tracce della sua esistenza.

Invece se, come postula la Paleoastronautica, i nostri progenitori sono stati generati da esseri alieni, imperfetti per quanto tecnologicamente evolutissimi, qualche memoria della nostra origine artificiale, e dei nostri artefici, dovrebbe essere rimasta nelle vestigia della storia umana, o perlomeno in qualcuna delle variegate branche del nostro sapere.

Lo scrittore e conferenziere torinese Marco Biglino è protagonista, da ormai molti anni, di un brillante tentativo, valsogli un notevole successo editoriale e un cospicuo seguito di ammiratori, di ancorare la Paleoastronautica alle risultanze di una disciplina di tutto rispetto: la filologia.

Biglino sostiene che una rigorosa esegesi del testo della Bibbia porta alla luce che il “libro” per antonomasia, fondamento di ebraismo e cristianesimo ed anche, in parte, dell’ islam, non è la storia del manifestarsi del Dio Unico, ma il racconto dell’alleanza, nel reciproco interesse, tra l’antica etnia ebraica e un essere extraterreste.

È noto a tutti che sull’interpretazione autentica del testo biblico esiste una bibliografia sterminata, formatasi negli ultimi due millenni ad opera sia di teologi, ebraici e cristiani, sia di studiosi non credenti.

Fino ad oggi, e potremo dire “ante Biglinum natum”, le scuole di pensiero sulla Bibbia erano due.

Prima. Si tratterebbe della storia vera, per quanto esposta in modo largamente metaforico ed allegorico, secondo la cultura ancora primitiva di testimoni che ne hanno tramandato e poi fissato per iscritto il contenuto, dell’incontro, dapprima, tra l’Essere Supremo e il popolo da lui prescelto, e dopo, soprattutto nei Vangeli con la venuta del Messia, tra questi e l’intera umanità.

Seconda. Si tratterebbe di un coacervo di leggende, con possibili, marginali e comunque irrilevanti adentellati in fatti storici, con lo scopo, nel migliore dei casi , di supportare la credenza in un Essere Superiore, onnipotente e creatore dell’uomo, e, nella peggiore, di legittimare il controllo sociale, in nome di una falsa Divinità, da parte dei ceti dominanti.

Marco Biglino, prima di dedicarsi alla diffusione della sua esegesi biblica, si era distinto per la partecipazione al progetto editoriale delle Edizioni Paoline riguardante la “traduzione interlineare” del testo biblico c.d “mesoretico”.

Prima di allora, Biglino poteva vantare solo lo studio, sostanzialmente da autodidatta, dell’ebreo antico.

La Bibbia “masoretica” è il testo “sacro”, scritto in ebreo antico e parzialmente in aramaico, della religione ebraica.

Esso si compone di 39 libri tra cui spicca il nucleo fondamentale del giudaismo, la “Torah”, “insegnamento” in ebraico, costituita dai primi cinque e più celebri libri: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio.

Il contributo di Biglino ha riguardato 17 libri della Bibbia, i c.d. 12 “Profeti Minori”, e le 5 “Meghilot”, libri di preghiere e canti liturgici.

Due parole per spiegare cosa significa “traduzione interlineare”.

Come indica il nome stesso, si tratta di una traduzione “tra le linee”, ovvero sotto ogni riga del testo originario viene fornita la traduzione di ogni parola esattamente nella posizione in cui si trova.

Poichè le regole su come e dove collocare le parole all’interno di una frase variano da lingua a lingua, “la traduzione interlineare” va considerata una prima sbozzatura nel lavoro di traduzione, a cui deve seguire una raffinazione per rendere comprensibile il risultato.

Sulla “traduzione interlineare”i pareri sono discordi.

Il poeta francese Paul Valéry la definiva, sprezzantemente, “imbalsamazione” del testo. Il filosofo italiano Benedetto Croce la raccomandava come esercizio utile a non perdere l’aderenza al testo.

Marco Biglino sostiene di aver scoperto, applicando la “traduzione interlineare” anche alle parti della Bibbia per cui non gli era stata commissionata, e in particolare alla “Torah”, che la traduzione in voga che tutti conosciamo, e abbiamo imparato al catechismo e alla Messa, sarebbe tendenziosamente infedele.

La mistificazione consisterebbe nell’aver sovrapposto al significato letterale del testo una interpretazione teologica del tutto inventata.

Il concetto di “traduzione alla lettera”, mi riporta ai tempi del Liceo.

Un giorno io ed altri miei compagni, scontenti per i troppi errori che il professore di greco aveva trovato nelle nostre versioni, avevamo provato a giustificaci con l’argomento: “ma noi abbiamo tradotto alla lettera”. Lui aveva replicato perentorio “la traduzione alla lettera non esiste”. E pazientemente a spiegarci, subito dopo, che una traduzione è sempre un’interpretazione ragionata, nient’affatto meccanica, poiché il testo da tradurre deve prima essere correttamente compreso nella lingua d’origine, e poi restituito, rispettandone il significato, nella lingua di destinazione.

In quanto esperto di “traduzione interlineare”, Biglino fa intendere di aver scoperto il senso originario, letterale della Bibbia.

Una chimera, come ammoniva il mio insegnante di greco, cara giusto a studenti liceali in cerca di scuse per evitare un brutto voto nel compito in classe.

Lo dimostra il fatto che ad una parola in ebraico non corrisponde mai una e una sola parola in italiano o in qualsiasi altra lingua, ma un ventaglio di possibilità.

Altrimenti, i vocabolari non sarebbero quei libroni massicci che conosciamo.

Ma veniamo alla tesi scaturente dalla asserita “traduzione letterale” della Bibbia da parte Biglino e che, più propriamente, deve intendersi la “traduzione di Biglino”.

Secondo il saggista torinese, quando la Bibbia parla di Dio, in realtà si riferisce a un personaggio reale, un extraterrestre in possesso di un sapere scientifico e tecnologico immensamente sofisticato, membro di una ristretta elite di alieni giunti sulla Terra con voli spaziali.

Mentre i suoi simili, grosso modo nello stesso remoto passato, si sarebbero stabiliti in altre zone del globo, entrando in familiarità con altre popolazioni locali, costui, Javè, che non significa dunque “colui che è”, come ci avrebbero inculcato ma è un nome proprio, avrebbe scelto come proprio referente indigeno un popolo nomade originario della Cananea: gli ebrei.

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La tesi di Biglino è, dunque,una via di mezzo tra le due interpretazioni prevalenti di cui abbiamo parlato, quella religiosa e quella atea, ovvero come, ed anche più della prima, considera vero quanto raccontato nella Bibbia mentre, come la seconda, reputa la narrazione biblica spoglia da qualsiasi influenza divina.

È appena il caso di notare che tutte e tre le interpretazioni, finché non riescono a portare a proprio sostegno prove concrete, archeologiche o rinvenibili in altre tradizioni scritte, rimangono nell’ambito della logica esegetico-filologica.

Essendo i tempi dell’Antico Testamento particolarmente lontani, trovare riscontri sulla mitica epopea del popolo eletto di Sion alla ricerca della Terra Promessa è molto difficile.

Più agevoli i riscontri sulla verità storica del Nuovo Testamento, tanto che, ad oggi, è abbastanza certo che un profeta corrispondente al Gesù dei Vangeli abbia operato nella Palestina di duemila e rotti anni fa.

Non mi addentrerò, comunque, nella spinosa materia delle verifiche storiche sulla Bibbia, anche se, lo confesso, troverei elettrizzante veder spuntare dalle sabbie del Sinai i resti dell’astronave di Yavé.

Mi limiterò ad esaminare se il metodo d’interpretazione biblica di Biglino ha spalle larghe per confrontarsi con la ponderosa mole di studi esegetici effettuati fin dai primi secoli dopo la nascita di Cristo, epoca a cui risale la prima fissazione per iscritto del testo”masoretico”.

Nulla di meglio che incominciare dall’inizio, ovvero dalle prime righe del primo libro della Bibbia, la Genesi.

Questo celeberrimo incipit ha, non a caso, hanno dato vita un’ accesa polemica per la traduzione “letterale” proposta da Biglino.

La versione della Chiesa Cattolica, che tutti conosciamo, recita:
In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.”

Né l’interpretazione religiosa né quella atea considerano questo passo come una cronaca storica. Entrambe convengono che vi si esponga il concetto della creazione dal nulla dell’universo  da parte di Dio.

La verità, secondo la prima, una favola secondo l’altra.

Biglino fa tre obiezioni.

È arbitrario usare il termine Dio, in quanto il testo masoretico adopera l’espressione (e lo farà in tutte le altre parti della Bibbia) heloim, plurale di helohah.

La corretta traduzione letterale di heloim è secondo Biglino qualcosa come esseri superiori, anche se ha finito per propendere per l’uso dell’espressione originale non tradotta: gli heloim.

Controbattono gli ebraisti che heloim, e il suo singlare helohah, assumono, vocabolario alla mano, una variegata serie di significati, tra cui governante, giudice, uno dei molti dei pagani, la pluralità degli dei pagani e, infine, appunto, il Dio Unico di Israele , conosciuto anche col nome di Yavè.

Nulla di strano, visto che le parole, in nessuna lingua, hanno un unico significato.
È pacifico che heloim, pur essendo un plurale, venga usato, e prevalentemente nella Bibbia, anche come sostantivo singolare. Ciò quando gli aggettivi e i verbi ad esso riferiti vengono declinati al singolare.

Questo vale anche per il primo versetto della Genesi, dove barù, ( creare secondo la Chiesa Cattolica ma non, come vedremo, per Biglino) è terza persona singolare del passato remoto del verbo barà.

Non solo: heloim, non essendo nel versetto iniziale della Genesi (come prevalentemente nel prosieguo della Bibbia) accompagnato dall’articolo, è da considerarsi nome proprio, da rendere con l’iniziale maiuscola: Heloim.

Va aggiunto che in tutte le versioni in greco della Bibbia, segnatamente la più antica, denominata “Septuaginta”, contemporanea alla versione “masoretica”, Heloim viene tradotto con Theòs, Dio. Anche le versioni latine traducono Deus.

D’altro canto, come altrimenti nominare qualcuno che “crea il cielo e la terra”?

Biglino, come anticipato, contesta la traduzione del verbo barà con creare, contrapponendogli quella “letterale” formare.

Anche qui gli ebraisti aprono il vocabolario, mostrando che, a seconda dei contesti, barà indica sia creare che formare, ed anche inventare o figliare.

La differenza evidenziata da Biglino tra creare e formare introduce una disputa teologica . Si crea dal nulla, mentre si forma da materia preesistente.

È assai dubbio che gli antichi depositari della tradizione biblica fossero consapevoli di queste sottigliezze.

Forse potevano esserlo i redattori del testo “masoretico” , ma allora perché, se sono stati complici del suo travisamento in senso teologico, non l’hanno manipolato introducendo un’espressione più chiaramente indicativa di una creazione dal nulla?

Comunque, anche ammettendo che il primo versetto della Genesi debba leggersi “In principio gli heloim ( esseri superiori) formarono il cielo e la terra“, chi potranno mai essere gli individui mortali capaci di un simile exploit, che li ha portati, come descritto nei versetti successivi del primo libro, a plasmare un pianeta abitabile, completo di flora e fauna e creature intelligenti?

Per spiegarlo, come minimo bisogna abbandonare di molto la traduzione “letterale” per inoltrarsi in un’interpretazione ragionata.

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La terza obiezione del saggista torinese riguarda lo spirito di Dio (ovvero, secondo lui, degli Heloim) aleggiante sull’universo ancora grezzo e disabitato.

La parola ebraica tradotta come spirito è ruach. Secondo Biglino il suo significato “letterale” sarebbe oggetto che si muove velocemente nell’aria. Un aeroplano ovvero, visto che ad usarlo come mezzo di trasporto sarebbero esseri alieni, un velivolo per viaggi nello spazio.

Quindi il secondo versetto della Genesi suonerebbe così: Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e l’astronave degli Heloim aleggiava sulle acque“.

Gli ebraisti sottolineano che, tra i molti significati di ruach (vento, respiro, spirito, forza vitale, forza di volotà, stato d’animo) nel vocabolario astronave non c’è.

 

 

Infatti Biglino, per sostenere la sua tesi, è costretto a riferirsi a un’iscrizione sumera laddove un suono simile, RU-A, verrebbe rappresentato con un segno costituito da un oggetto fluttuante su una distesa d’acqua.

È appena il caso di dire che l’interpretazione di quel segno, e la sua stessa riconducibilità all’immagine di un’astronave in volo sopra le acque, è controversa.

Comunque, una domanda sorge spontanea: perché mai gli antichi redattori della Bibbia non sono ricorsi a un’espressione più esplicita per indicare ciò che, con linguaggio moderno, chiamiamo “astronave”?.
Non avevano a disposizione il termine “volare” e quelli “carro”, “macchina”, o al limite “oggetto”?

In conclusione, lascio al lettore decidere se la teoria di Biglino è un piacevole racconto di fantascienza, o una rivoluzionaria pietra miliare nella storia dell’esegesi biblica.

Rino Casazza

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Rino Casazza

Rino Casazza è nato a Sarzana, in provincia di La Spezia, nel 1958. Dopo la laurea in Giurisprudenza a Pisa, si è trasferito in Lombardia. Attualmente risiede a Bergamo e lavora al Teatro alla Scala Di Milano. Ha pubblicato un numero imprecisabile di racconti e 15 romanzi che svariano in tutti i filoni della narrativa di genere, tra cui diversi apocrifi in cui rivivono come protagonisti, in coppia, alcuni dei grandi detective della letteratura poliziesca. Il più recente è "Sherlock Holmes tra ladri e reverendi", uscito in edicola nella collana “I gialli di Crimen” e in ebook per Algama. In collaborazione con Daniele Cambiaso, ha pubblicato Nora una donna, Eclissi edizioni, 2015, La logica del burattinaio, Edizioni della Goccia, 2016, L’angelo di Caporetto, 2017, uscito in allegato al Giornale nella collana "Romanzi storici", e il libro per ragazzi Lara e il diario nascosto, Fratelli Frilli, 2018. Nel settembre 2021, è uscito "Apparizioni pericolose", edizioni Golem. In collaborazione con Fiorella Borin ha pubblicato tre racconti tra il noir e il giallo: Onore al Dio Sobek, Algama 2020, Il cuore della dark lady, 2020, e lo Smembratore dell'Adda, 2021, entrambi per Delos Digital Ne Il serial killer sbagliato, Algama, 2020 ha riproposto, con una soluzione alternativa a quella storica, il caso del "Mostro di Sarzana, mentre nel fantathriller Al tempo del Mostro, Algama 2020, ha raccontato quello del "Mostro di Firenze". A novembre 2020, è uscito, per Algama, il thriller Quelle notti sadiche.

Un commento

  1. Al di là delle interpretazioni linguistiche e religiose pochi si sono soffermati sull’eventuale presenza “reale e concreta di quest’alieno di nome Yahweh”.
    Accettiamo che kavod sia l’astronave, e poi? Perché Mosè la può vedere solo di spalle?
    Accettiamo che l’oro serviva per ambienti asettici, e poi? Perché Mosè si toglie le scarpe sul Sinai?
    Seguendo proprio il sentiero tracciato da Biglino (il “fare finta che” e altri) ho tentato di dare seguito a queste domande, e ad altre, in “Bibbia, Omero e “quelli-là” ovvero libera confutazione degli elohim bigliniani (tra il serio e l’ironico)”. Una sintesi su https://blogoudeys.blogspot.com oppure su https://ilblogdimarco999.blogspot.com.
    Oltre ad altri temi:
    dal razzo egizio alle parole dei rabbini kabalisti; dalla già esplosa Betelgeuse ai cavalli celesti; dai robot di Efesto alla spasmodica voglia di oro; dalla navicella di yahweh ai possibili testimoni oculari.
    Saltano fuori incongruenze e contraddizioni, non solo nelle vicende che interessano Yahweh, ma nel quadro d’insieme che Biglino mette insieme.
    Saluti
    Oud Eys

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