Si torna a parlare del Mostro di Firenze. Davvero finora si è fatta giustizia? Continua lo speciale di Fronte del Blog, curato da Rino Casazza
Il PRIMO PROCESSO PACCIANI
Riguardo all’inchiesta su Pacciani, e alla conseguente, contrastata vicenda giudiziaria, “La leggenda del Vampa” fa sue, in coerenza con l’ impostazione colpevolista, le tesi emerse nell’ambito del processo di primo grado contro il solo Pacciani e nella successiva appendice del “processo ai compagni di merende”.
Al riguardo, sono frequenti ed estese le citazioni, anche testuali, dai documenti di causa.
Alessandri ritiene nella sostanza il secondo processo un completamento del primo.
L’indagine sui “compagni di merende” e il successivo dibattimento che vide alla sbarra Mario Vanni e Giancarlo Lotti avrebbe permesso di portare alla luce l’aspetto delle complicità già evidenziato anche se non esplorato nella “sentenza Ognibene”, così chiamata dal nome del Giudice che presiedeva la Corte di Assise fiorentina nel 1994.
I capisaldi che inducono Alessandri a sostenere la colpevolezza di Pacciani sono quelli, esposti con ampi stralci testuali dalla “sentenza Ognibene”, che condussero la Procura di Firenze a imbastire l’accusa, e la Corte di Assise del capoluogo toscano a decretare la condanna di Pacciani.
Provo a riassumere i più importanti.
1) La personalità di Pacciani.
È dimostato, non foss’altro per i precedenti penali, che Pacciani fosse un individuo rozzo, sordido, pevaricatore e propenso alla violenza, anche quella estrema.
In questo quadro, indicativo di per sé di una personalità criminale , si sarebbe innestato un fattore deflagrante: la sessualità famelica e pervertita del “contadino di Mercatale”.
Anche questa risulta dalle testimonianze dei “compagni”, non di “merende” a questo punto, ma di frequentazioni con meretrici, appostamenti notturni per spiare coppiette, uso di sexy-toys e quant’altro.
Soprattutto, lo si ricava dalla pesante condanna a otto anni di reclusione ricevuta da Pacciani per violenza carnale nei confronti delle figlie, nel 1988.
La patologica “sessuomania” di Pacciani sarebbe stata amplificata e vieppiù distorta dal trauma profondo rappresentato per lui dal delitto del 1951.
In quella circostanza nel futuro “Mostro”, sconvolto e indotto a uccidere dall’intollerabile affronto del tradimento, si sarebbe radicato un feroce disprezzo verso le donne in quanto per natura infedeli.
Disprezzo che sarebbe riesploso ogniqualvolta Pacciani , durante le puntate notturne come “guardone” , si sarebbe all’improvviso trovato a rivivere, in una sorta di angoscioso de ja vu, la situazione del 1951, in cui appunto, nascosto dalla boscaglia, aveva spiato la sua fidanzata cedere alle lusinghe di un alto uomo.
A queste crisi di aggressività parossistica avrebbero altresì contribuito i tentativi, frustrati, di riallacciare rapporti con Miranda Bugli. Il rifiuto della donna avrebbe indotto Pacciani a “ripetere” il delitto del 1951 in vicinanza dei luoghi di residenza di costei negli anni.
2) Il comportamento di Pacciani durante l’inchiesta e in aula.
Sono rimaste indelebili, nell’immaginario collettivo, le piagnucolose giaculatorie di Pacciani in TV, con in mano santini continuamente sbaciucchiati.
A suo dire, in quel toscano ruspante, egli era la vittima di una inaudita persecuzione, ordita da malvagi calunniatori. Non solo negava d’aver commesso i delitti del Mostro, da lui aborrito con tutto sé stesso, ma rivendicava di condurre una vita ritirata e morigeratissima, tutta casa, chiesa e campi, di non andare con altre donne oltre alla moglie, di non aver mai toccato le figlie, e non parliamo del vizio del “vourierismo” : la stanchezza per il duro lavoro quotidiano gli impediva assolutamente di praticarlo.
La viscida falsità del “contadino di Mercatale sarebbe specchio della sua perfidia criminale.
Una falsità manifestarsi più volte nel corso dell’inchiesta, col negare con forza, irragionevolmente, ogni testimonianza o indizio a lui sfavorevole, compreso il contenuto di alcune imbarazzanti intercettazioni. Famoso il caso in cui, ascoltandosi bestemmiare in una registrazione, gridò al falso in quanto la sua profonda religiosità gli aveva sempre impedito di offendere il Signore.
Significativo, soprattutto, il tentativo di fabbricarsi un’alibi per l’ultimo delitto del “Mostro” , arrampicandosi sugli specchi per continuare a sostenerlo contro l’evidenza.
3) Testimonianze sul possesso da parte di Pacciani di una pistola simile a quella del Mostro e sulla sua abilità nell’uso del coltello
Come si è detto, Pacciani ha dato del bugiardo a quanti ( persino le figlie!) hanno osato sostenere che lui non era un padre di famiglia timorato di Dio.
La notizia che Pacciani detenesse e maneggiasse con abilità una pistola emerge da diverse testimonianze, così come l’abitudine a portare sempre con con sé, fin da ragazzo, un coltello per i più diversi usi.
Puntuale l’accorata smentita del “contadino di Mercatale”: tutte calunnie o, al massimo un errore, che ha portato qualcuno a scambiare per vera una pistola “scacciacani. Quanto al coltello, ogni buon contadino lo sa usare.
4) Testimonianze sui frequenti spostamenti di Pacciani nell’area geografica in cui sono avvenuti i delitti
Pacciani ha smentito con la solita verbosa e colorita tenacia le numerose testimonianze ( anche quella di Mario Vanni, non ancora indagato come complice) che attestano la sua abitudine a bighellonare con intenti poco chiari nel circondario “battuto” dal Mostro, da solo o in compagnia, di notte come di giorno.
Impressionante il racconto di una coppietta che afferma di essersi all’improvviso trovata, di notte, il viso di un uomo somigliante a Pacciani appiccicato al vetro posteriore dell’auto. Ripartiti di scatto, raccontano di aver faticato a liberarsi dell’individuo, rimasto abbracciato al retro dell’auto.
5) Testimonianze che collocano Pacciani sulla scena di due delitti.
Pacciani ha accolto con indignato stupore le dichiarazioni di testimoni che hanno affermato, sotto giuramento, di averlo visto, ad ora sospetta, tenere comportamenti loschi nei pressi di alcune scene criminis.
6) La pallottola ritrovata nell’orto
La pallottola di marca “long rifle”, dello stesso tipo di quelle usate dal “Mostro”, ritrovata sepolta nel giardino di casa Pacciani nel corso di una perquisizione a tappeto, è il capitolo più controverso dell’inchiesta.
Naturalmente, il ” contadino di Mercatale” ha sostenuto trattarsi di una manovra per “incastrarlo” . Sulla genuinità del ritrovamento sono in molti a nutrire dubbi, in particolare il già citato Mario Spezi.
La pallottola in questione è stata sottoposta ad accurate perizie. È pacifica la compatibilità col tipo di pistola usata dal “Mostro”, ma non si sa se vi sia mai stata inserita.
7) La lettera anonima con “l’asta guidamolla”
Nelle ultime fasi dell’inchiesta, prima del dibattimento, agli inquirenti arrivò una lettera anonima, contenente un piccolo meccanismo, l'”asta guidamolla” (con umorismo involontario Pacciani, nel negare fermamente di saperne alcunché, la chiamerà “asta tiramolla”) che la ditta Beretta confermò appartenere al modello di pistola usato dal Mostro.
Ricordiamo, en passant, che questa’arma non è stata mai trovata.
Il piccolo componente meccanico era avvolto in un pezzo di stoffa che in seguito, durante una perquisizione in casa Pacciani, contestatissima dal “contadino di Mercatale” e dai suoi difensori, si scoprì provenire da uno straccio trovato in garage. Tuttavia, in una precedente occasione quello straccio non era stato trovato.
L’anonimo fornitore del reperto sosteneva, nella lettera di accompagnamento, di aver visto Pacciani disfarsene sotterrandola in un bosco. L’ispezione svolta in loco non ha portato a nulla.
Secondo il giudice di primo grado, tutta la vicenda sarebbe un sottile tentativo di depistaggio operato da Pacciani, che avrebbe cercato di farsi passare come vittima di una manipolazione orchestrata ad arte.
(continua)
Rino Casazza
Vedi anche dello stesso autore, di argomento analogo:
“La leggenda del Vampa” di Giuseppe Alessandri: la dubbia colpevolezza di Pietro Pacciani- PARTE PRIMAL’eterno ritorno del Mostro di Firenze La leggenda del mostro muratoreLa condanna di Massimo Bossetti per l’omicidio di Yara: la logica e la giustizia
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