Si torna a parlare del Mostro di Firenze. Davvero finora si è fatta giustizia? Ecco lo speciale di Fronte del Blog, curato da Rino Casazza
PREMESSA
La vasta bibliografia sul “Mostro di Firenze”, si è arricchita l’anno scorso di un testo: “La leggenda del Vampa” di Giuseppe Alessandri.
È la riedizione aggiornata dell’omonimo libro uscito ventuno anni fa, nel 1996, all’immediata vigilia del processo di appello a Pietro Pacciani, poi conclusosi con la piena assoluzione del “contadino di Mercatale”.
La sentenza fu seguita da uno strascico ancor più clamoroso: un pamphlet, “Il caso Pacciani. Storia di una colonna infame?”, demolitorio delle tesi colpevoliste della Procura di Firenze, scritto da Francesco Ferri, il Presidente della Corte di Appello che aveva pronunciato la sentenza di assoluzione.
Alessandri, convinto sostenitore dell’impianto accusatorio contro Pacciani, al tempo della prima edizione de “La leggenda del Vampa” si era attirato, come egli stesso racconta nell’introduzione, numerose critiche, culminate in una denuncia per diffamazione da parte dello stesso “contadino di Mercatale Val di Pesa”.
L’edizione attuale del libro ripropone la tesi della colpevolezza di Pacciani, riveduta e corretta alla luce dell’ “inchiesta bis”, che, dopo l’annullamento dell’assoluzione da parte della Corte di Cassazione, portò ad un nuovo processo, con imputati questa volta, accanto a Pacciani, in qualità di complici, i cosiddetti “compagni di merende”, ovvero i suoi amici Mario Vanni e Giancarlo Lotti ( e Giovanni Faggi, poi assolto).
Questa vicenda processuale si è conclusa nel 2000 con una sentenza, definitiva, di condanna.
Tuttavia Pacciani, elemento di punta dei “compagni di merende” secondo le conclusioni dei giudici, in realtà non è mai stato condannato.
Nei suoi confronti si è verificata una “causa di estinzione del reato”, in quanto morto prima dell’inizio del processo di rinvio.
Non si tratta di un mero cavillo procedurale.
Pacciani, indicato nella motivazione delle sentenze sui “compagni di merende” come capo della banda (per vero dire, ne era il “capo esecutivo”, essendo stato individuato un “secondo livello” di mandanti) , non ha potuto difendersi nel processo e quindi l’accertamento della sua responsabilità non può dirsi, penalmente, compiuto.
Inoltre il “contadino di Mercatale” si è sempre dichiarato innocente.
Per completare il quadro, è opportuno evidenziare che la sentenza sull’ “inchiesta bis” si esprime sui duplici delitti, sei, del “Mostro di Firenze” avvenuti dal 1981 in poi, mentre tace sui primi due, del 1968 e 1974.
Se ne deve dedurre che questi sono stati commessi dal solo Pacciani ma, come spiegato, si tratta di una ipotesi, non di una certezza ottenuta attraverso un processo.
Assai spinosa è l’attribuzione della responsabilità del primo delitto, per il quale esiste un colpevole accertato con sentenza definitiva.
Per eliminare questo errore giudiziario, o presunto tale, sarebbe necessaria una revisione del processo che, attribuendo la responsabilità del delitto a Pacciani, assolvesse l’attuale colpevole. Ma costui, Stefano Mele, avendo ormai finito di scontare la pena da molti anni, non ne ha alcun interesse.
D’altro canto l’innocenza di Mele, e la colpevolezza di Pacciani riguardo al primo delitto del Mostro” è indispensabile per non rimanere impigliati nel più arduo rompicapo di tutta l’inchiesta, ovvero l'” enigma della pistola”.
Se Pacciani non ha commesso il primo delitto (e nessuna sentenza definitiva mai lo ha detto, anzi ce n’è una che lo nega) come è arrivata tra le sue mani la celebre Beretta del “Mostro”, che indubitabilmente ha freddato tutte e sedici le vittime?
IL LIBRO
Ma veniamo a “La leggenda del Vampa”.
Il libro è diviso sostanzialmente in due parti.
La prima è una biografia romanzata di Pacciani ( soprannominato Vampa per la sua estrema irascibilità) dalla nascita sino all’incriminazione; la seconda il racconto, dettagliato, della vicenda processuale che lo riguarda, fino alla morte, avvenuta, come spiegato, a causa ancora pendente, nel 1998.
C’è poi un’appendice che prende in considerazione le indagini sul c.d. “secondo livello”, incentrata essenzialmente sulla figura del medico perugino Francesco Narducci e sulla sua misteriosa morte.
La parte biografica si sofferma a lungo nel descrivere la figura e le azioni di Pacciani, sia in veste di “Mostro”( in tutti e 16 i delitti) che nel resto della sua vita, spesso riportando in virgolettato, e in dialetto popolare toscano, battute sue e di altre persone che hanno, o avrebbero, interagito con lui.
Le fonti non sono indicate ( almeno, nel libro manca il puntuale rinvio alle stesse con note), anche se è implicito che si tratta delle successive, pubbliche risultanze investigative e processuali, largamente riprese e commentate nella bibliografia sul “Mostro”.
Ricordiamo che questa conta, oltre al già citato libro del giudice Francesco Ferri, contributi di investigatori impegnati nel caso ( il Capo del “Pool anti Mostro”, Ruggero Perugini, con “Un uomo abbastanza normale”, 1994 e il Commissario della Squadra Mobile fiorentina, Michele Giuttari, con “Compagni di sangue”, 1998) ) di giornalisti di cronaca nera che se ne sono occupati in modo approfondito ( Mario Spezi, con “Dolci colline di Sangue”, 2006) , di avvocati con un ruolo nelle cause apertesi sulla vicenda (Nino Filastò, con “Pacciani innocente”, 1994, e “Storia delle merende infami”, 2005), e tanti altri.
Non è chiaro, per quanto riguarda la nutrita biografia di Pacciani bambino, adolescente e giovane uomo, da dove Alessandri abbia ricavato le informazioni, piuttosto dettagliate. Supponiamo che l’autore abbia svolto una ricerca, raccogliendo testimonianze di conoscenti e compaesani del “contadino di Mercatale”.
L’omicidio del 1951
Fa eccezione, ed è uno degli aspetti più interessanti del libro, la vicenda del primo omicidio di Pacciani, del 1951, l’unico per cui sia stato condannato in via definitiva ( per inciso lo confessò e scontò l’intera pena).
Questo precedente penale del “contadino di Mercatale” ha sempre impressionato l’opinione pubblica ( me compreso!) per il dettaglio, agghiacciante, del coito imposto da Pacciani alla fidanzata traditrice vicino al cadavere del rivale, ucciso a coltellate e colpi di pietra.
Come vedremo, la brutale vendetta consumata da Pacciani in quella circostanza, ha fornito alla Corte d’assise di Firenze, che nel 1994 lo ha condannato in primo grado ritenendolo il “Mostro”, la materia prima per individuare le distorte motivazioni “psicopatologiche” che ne avrebbero scatenato la furia omicida contro coppiette appartate.
Per ricostruire il “delitto madre” del ’51 Alessandri attinge espressamente, in modo ampio, ai verbali del processo, colmando una lacuna degli organi d’informazione, che si sono sempre limitati a parlare, almeno secondo il mio ricordo, di un feroce delitto “passionale” seguito dall’amplesso accanto al corpo martoriato della vittima.
Ebbene, leggendo il resoconto di Alessandri, emerge che la fidanzata di Pacciani, Miranda Bugli, è stata condannata, in concorso con lui, a una pena severa, 10 anni di carcere, sulla base di una lettura della vicenda, da parte dei giudici, significativamente diversa da quella ancor oggi diffusa: i due fidanzati avevano colluso per uccidere il rivale.
Per quanto riguarda il rapporto carnale sacrilego, le versioni di Pacciani e della Bugli discordano, e comunque, alla luce della ritenuta complicità tra i due, è lecito nutrire dubbi sulla ricostruzione più in voga.
(continua)
Rino Casazza
Vedi anche dello stesso autore:
L’eterno ritorno del Mostro di Firenze La leggenda del mostro muratoreLa condanna di Massimo Bossetti per l’omicidio di Yara: la logica e la giustizia