Siena non è sul mare, ma il Monte dei Paschi di Siena da tempo si affaccia sull’ultima spiaggia. Dopo più di due anni di tiro per il naso, ora sembra che nei prossimi giorni arriverà l’assenso di Dg Comp, la direzione generale per la Concorrenza della Commissione Europea, al piano di salvataggio con l’intervento dello Stato. Le autorità europee, politiche e bancarie, hanno dato pessima prova di sé nella vicenda, non diversamente dai successivi governi italiani, inclusi l’ultimo e il penultimo. I risultati si stanno purtroppo vedendo anche sulle due banche venete, più piccole ma non meno bisognose di ristrutturazione.
Se due anni fa il governo Renzi avesse messo mano alla situazione del Montepaschi, anziché scrivere peana su un risanamento della banca che non era ancora nemmeno cominciato, avrebbe arrestato anche il problema molto più grave dei crediti non performanti del sistema bancario italiano. Buona parte di questa robaccia appartiene al Montepaschi, che non può svalutarli in fretta perché immediatamente dovrebbe lanciare il padre di tutti gli aumenti di capitale in un mercato, quello italiano, dove l’autorità parentale è in larga decadenza.
Se da noi ci fosse un mercato funzionante per i crediti deteriorati, il loro valore sul mercato si avvicinerebbe al valore del probabile recupero e i bilanci delle banche apparirebbero molto meno disastrati. Ma con il mercato silvopastorale che abbiamo, nessuno è disposto a comprare a quel prezzo. Il valore corrente è la metà. Sicché tutte le banche italiane appaiono immerse nel meconio fino al collo. E le regole europee sul bail-in, irresponsabilmente votate dal governo italiano senza badare alle conseguenze che avrebbero avuto nella situazione concreta del Paese, impediscono loro di gustare il dolce colostro dell’intervento pubblico.
Le banche sono simpatiche quasi come i tafani e le zanzare, ma se cadono loro, oggi come oggi, cade anche l’economia reale e poi sono cavoli nostri. Per il Montepaschi, la soluzione sarebbe stata quella di scinderlo in due società (entrambe di diritto quotate perché lo è Mps), con lo stesso azionariato al momento iniziale: una sarebbe una banca, l’altra una società per il recupero crediti, con tutti gli npl. La prima vedrebbe ridotti gli attivi e dunque anche la necessità di capitale proprio; in ogni caso, senza crediti dubbi non avrebbe troppi problemi a ricapitalizzarsi. La seconda società, non essendo una banca, non sarebbe sottoposta alle norme sul bail-in. Lo Stato o qualche grande gruppo privato potrebbe dunque sostenerla per il tempo necessario per arrivare a una valutazione meno insensata dei crediti dubbi. Questa valutazione diverrebbe a questo punto la norma di mercato, con il risultato di dare ai bilanci bancari un’immagine di molto maggiore salute.
Non è questa la via scelta dal governo per il Monte dei Paschi. Secondo le indiscrezioni, i crediti non performanti saranno cartolarizzati con una valutazione al 20% (bassissima, anche nel contesto disastrato dell’Italia). Secondo le indiscrezioni il fondo Atlante, Fonspa e Fortress procederanno alla cartolarizzazione di 27 miliardi di npl, trasferendoli ad un veicolo ad hoc, che emetterà titoli per 1,6 miliardi di euro nelle tranche junior e mezzanina, di cui circa 900 milioni destinati ad Atlante, mentre la parte restante dovrebbe essere suddivisa in parti uguali tra Fortress e Credito Fondiario, che potrebbe a sua volta coinvolgere come investitore anche Elliott. Dal fondo arriveranno anche 3,3 miliardi di titoli senior, coperti da Gacs (la garanzia statale), che saranno poi venduti sul mercato.
Grossi guadagni per i privati che interverranno, ma almeno si profilerà una soluzione per la banca più vecchia del mondo. Saranno ancora necessarie due cose, una per il capitale e una per il lavoro: un aumento di capitale di 8,8 miliardi, a spese dello Stato italiano, e il massacro di 10.000 posti di lavoro, perché il secondo problema della banca senese è la scarsa produttività e Dg Comp vuole il sangue.
Restano i dubbi sull’efficacia di questa soluzione. Per le dimensioni della cartolarizzazione, si rischia che il 20% diventi la norma di mercato per l’acquisizione di crediti dubbi nel sistema italiano, quando in realtà i crediti possono essere recuperati per una quota maggiore. Se valutati in modo ragionevole, i crediti non performanti non sarebbero una pietra al collo delle banche ma un semplice guaio. Sottovalutati, possono affondarci tutti. Un salvataggio modello del Monte dei Paschi avrebbe fatto compiere un grosso passo avanti verso la soluzione del problema bancario, mentre il salvataggio che si sta profilando non risolve un bel niente. Troppo poco, troppo tardi, e per sopramercato male. Paolo Brera