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Giancarlo Narciso gira tutta l’Indonesia in moto: “Il nostro viaggio tra i cacciatori di balene”

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Cinque amanti delle due ruote (il più anziano ha 73 anni) solcano il suolo per ben quattro mesi, facendo l’intero giro dell’Indonesia, fino alla remota Lembata. Tra loro un grande scrittore italiano. A raccontare a Cronaca Vera l’impresa è il noto autore noir Giancarlo Narciso, che ha appena ripubblicato il suo primo romanzo, da cui prese corpo una premiatissima trilogia

 

Di Gigi Montero

 

MILANO- L’avventura non è roba da ragazzini. Metti insieme cinque motociclisti dai 53 ai 73 anni, che per quattro mesi girano tutta l’Indonesia e avrai l’idea di cosa sia davvero: due italiani, un greco, un australiano e un indiano. Tra loro Giancarlo Narciso, per gli amici Jack, 69 anni, autore di romanzi per lo più ambientati in località esotiche, milanese «almeno fino a metà anni ’70 quando comincio a girare il mondo». E che romanzi! La sua trilogia noir su Rodolfo Capitani ha ricevuto i premi più importanti del settore, dallo Scerbanenco al premio Tedeschi. E ora il primo romanzo, Le Zanzare di Zanzibar, è appena stato ripubblicato in ebook da Algama. Lo abbiamo incontrato.

Partiamo dai compagni di viaggio, non esattamente giovanissimi. Ce li presenti?

«Presto fatto. Adonis, 64 anni, greco, studente di architettura a Firenze, ha viaggiato l’Asia in lungo e in largo, dalla Turchia alle Filippine e ora possiede un ristorante greco a Bali, il Pantarei. Poi c’è Angelo, 70 anni: nato a Firenze ma genovese d’adozione, sulla strada dai primi anni settanta, vive a Bali da vent’anni. Sam Coniglio, 73 anni, australiano di Perth ma originario di un paesino della Calabria, ha passato una vita a cercare il petrolio ai quattro angoli del mondo. E infine la mascotte, il ragazzino del gruppo, Quddus, 53 anni, indiano di Madras ma sposato con una indonesiana».

Per quattro mesi avete girato l’Indonesia in moto, da Bali per attraversare le isole orientali dell’arcipelago indonesiano, fino ad approdare nella remota Lembata. Come nasce questo viaggio?

«Il viaggio, la strada, sono nel mio immaginario da sempre, alimentati dai romanzi della beat generation, Kerouac, Ginsberg, Burroughs, Ferlinghetti & Company e, successivamente, da film come Easy Rider di Dennis Hopper, che ancora oggi ricordo come la molla decisiva che negli anni ‘70 mi ha spinto sulla strada. Volevo fare il giro del mondo e ci riuscii, non una ma quattro volte, in entrambe le direzioni. Più nello specifico, l’idea di spingermi in moto da Bali fino alle isole più orientali del Mar della Sonda l’accarezzavo già da tempo, ma era sempre rimasta una fantasia, fino a una sera dello scorso inverno. Ero a cena in un ristorante greco di Bali con alcuni amici, anche loro stagionati e intrepidi viaggiatori DOC, e mi ritrovo a parlarne; uno di loro, Adonis, dice, “Perché non lo facciamo?” e nel giro di pochi minuti stavamo già discutendone i dettagli. Sei mesi dopo siamo partiti».

Perché fino a Lembata?

«Perché è un posto molto particolare. Un’isola relativamente piccola, dominata, come tutte le isole dell’Indonesia da un vulcano, dove c’è un villaggio, Lamalera, i cui abitanti praticano da secoli la caccia alla balena con metodi tradizionali. Barche di legno e arpione scagliato a mano da un ragazzo appollaiato a prua».

Un metodo un po’ cruento.

«Indubbiamente sì, anche se di certo non più cruento di quello praticato dalle grosse navi baleniere giapponesi e norvegesi che di balene fanno una vera strage. Il numero di balene ucciso a Lamalera si aggira su qualche dozzina l’anno, contro le duemila uccise da giapponesi e norvegesi.  Mentre la gente di Lamalera pratica una pesca di sussistenza secondo una tradizione antichissima che esisteva già cinque secoli fa quando i primi portoghesi arrivarono sull’isola. E della carne di balena non si fa commercio, anche perché il villaggio, incastonato com’è fra la foresta, la montagna e il mare, è di fatto separato dal resto dell’isola, Noi ci siamo arrivati a fatica dopo un giorno intero di viaggio su piste infernali che sparivano nel fango, costellate di buche e pietre, perdendoci per strada e disperando di arrivare alla meta. Comunque quando i pescatori uccidono una balena, la carne viene distribuita fra tutti gli abitanti secondo un antico rituale. Solo una parte non viene distribuita ma barattata con un villaggio vicino in cambio di frutta e verdura».

Quindi si tratta di una località ancora selvaggia?

«Dipende da cosa si intende per selvaggio, la gente ha motociclette, cellulari e televisione ma il posto è abbastanza inquietante. Non ti scordi neppure per un attimo di essere a casa di balenieri, ci sono ossa di balena ovunque, le usano anche per fare recinzioni, sulla spiaggia c’è una cappella con un altare alla Madonna e a fianco la lei la statua in grandezza naturale di non so quale santo con in mano un arpione e sul pavimento, ossa di balena sparse qua e là».

Imprevisti?

«Quando per esempio sbagli strada e  ti ritrovi nel bel mezzo del nulla su sentieri che scompaiono all’improvviso. Imprechi al pensiero che non sai come uscirne ma poi magari sbuchi in un angolo di mondo meraviglioso e assolutamente deserto e allora resti inebetito a contemplarne la bellezza. Oppure ti ritrovi su un battello fatiscente, di legno marcio, tutto rattoppato, carico di merci, sacchi di granaglie e umanità varia accatastata sul pavimento, le tue moto legate in qualche modo sul ponte, quando all’improvviso il motore si spegne e resti per ore su quel guscio che va alla deriva a chiederti se arriverai in porto in tempo per trovare un alloggio – o semplicemente se ci arriverai, in porto – mentre  l’equipaggio si arrabatta cercando disperatamente di riparare il guasto».

Il viaggio si chiamava Borderfiction RIDE ON. Che significa?

«Borderfiction.com è un webmagazine che ho aperto cinque anni fa e che si occupa di quella che io definisco narrativa della tensione, di storie che avvengono in quel particolare stato dell’animo che è la frontiera fra il mondo normale, quotidiano, convenzionale e condiviso, e il mondo dell’ignoto, del subconscio, dello strano, dell’imprevedibile. Presto organizzazeremo un festival della letteratura legata al viaggio, all’esotico, possibilmente in moto, che si chiamerà appunto “Ride On”».

 

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