La narrativa c.d. “distopica” (o “antiutopica”) è un sottogenere della fantastoria e della storia alternativa.
Suo oggetto è la rappresentazione di società invivibili che non si sono mai realizzate, o si realizzeranno forse ( ma meglio di no!) in futuro.
L’esempio più famoso di distopia è senza dubbio il romanzo “1984” di George Orwell, conosciutissimo per il personaggio, incombente e oppressivo, del “Grande fratello”.
Esiste anche un notevole esempio italiano, tutto giocato sul grottesco : “Roma senza Papa” di Guido Morselli.
Mi piace partire da qui, per parlare di “2084” di Alex Rebatto, romanzo uscito quest’anno in digitale per Algama, in quanto condivide con “Roma senza Papa” una caratteristica non usuale per la “distopia”, ovvero l’assenza pressoché totale di elementi fantatecnologici.
Quasi sempre, infatti, la distopia si sposa con la fantascienza, come ad esempio in “Io sono leggenda” di Matheson e consimili storie “postapocalittiche”, o nella serie “Divergent” di Veronica Roth, ambientata in una sua società futura divisa in classi a seconda dell’orientamento psicologico degli individui.
Rebatto, invece, ci presenta il futuro prossimo dell’Italia tra una settantina d’anni, ma non vi aspettate che le cose siano così diverse da oggi.
Sicuramente non lo sono dal punto di vista del progresso scientifico, e per quanto riguarda la società e le istituzioni , benché sotto quest’aspetto le divergenze possano apparire significative, in realtà non cambia poi molto rispetto ai nostri giorni.
Nella sua visione pessimistica, animata da un’intuibile, delusa passione civile , Rebatto immagina che la sua Italia del 2084 sia una semplice degenerazione, spinta peraltro agli estremi, di quella del 2016.
Le ingiustizie economico-sociali, il disprezzo per l’ambiente, i traffici spregiudicati, il dominio malavitoso e le sue collusioni col potere sono diventati più grandi e intollerabili ma, forse, soltanto perché oggi sono più mascherate o ipocritamente nascoste, mentre nella distopia del romanzo tutto è spudoratamente chiaro e tristemente irredimibile, o quasi.
Tant’è che la tutela dei deboli e degli oppressi è affidata ad una organizzazione segreta, il “Comitato”, dedita alla violenza, anche se a fin di “bene”, che somiglia ad una mafia alla rovescia, ma pur sempre mafia.
Così il Bel Paese, con intatti tutti i suoi difetti atavici, diventa il campo di battaglia per la lotta tra il Comitato e gli altri gruppi di influenza e di questi tra di loro, in un contesto marcio di corruzione ed egoismo.
Una lotta tra bande senza esclusione di colpi, in cui non si esista a uccidere nel modo più brutale e disinvolto, e chissà se il “buono” è davvero tale o, dovendo ricorrere agli stessi mezzi del cattivo, alla fine, anche se prevale, ha perso.
Rebatto sa raccontare con vivacità e amaro umorismo le scene d’azione, rappresentando un campionario umano estremamente vario di loschi figuri, finti o veri eroi, vittime immeritate o sacrosante, idealisti disincantati o perfidi farisei.
Ne risulta un “hard-boiled” all’italiana, mosso, con molto ritmo, pieno di luoghi ed eventi, e vicende intrecciate.
Rino Casazza
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