I fumetti sono stati lo smartphone della nostra infanzia. Credo che chiunque, come me, sia stato bambino negli anni sessanta/settanta condivida questa affermazione. I fumetti significavano vacanze scolastiche, quelle lunghissime di quattro mesi. Nel resto dell’anno non solo si andava a nanna dopo Carosello, ma era vietato distrarsi dallo studio coi fumetti, guardati con sospetto perché, con la loro abbondanza di “figure” disabituavano all’apprendimento attraverso la lettura. Così all’inizio di giugno eravamo sommersi da una marea di “giornaletti”, dalle mie parti si chiamavano così.
Fumetti all’inizio significava soprattutto Topolino e il Corriere dei Ragazzi. Poi sono venuti quelli avventurosi ( il Grande Blek, Capitan Miki, e infine Tex) e pericolosamente “noir” (Diabolik, Kriminal, Satanik) ecc ecc, ma lungi dalla pretesa di fare una panoramica completa, vogliamo soffermarci su una categoria di “letteratura disegnata” (Hugo Pratt chiedeva, orgogliosamente di definirli così) comparsa in Italia un po’ più tardi, importata dagli Stati Uniti: i fumetti dei “super eroi”.
A me piacevano molto, e tutti i miei coetanei ne furono conquistati, ciascuno con le sue preferenze ( i più gettonati erano Superman e L’Uomo Ragno, io avevo un debole per Thor e Devil), senza sapere che la loro popolarità oltreoceano dipendeva da un inconscio motivo “ideologico”: i cattivi avversari dei supereroi altro non erano che una “proiezione” inconscia del lontano ma incombente pericolo comunista, come dimostrò il caso del radiodramma di Orson Wells, tratto da “La Guerra dei Mondi” del suo omonimo scrittore inglese, scambiato per radiocronaca in diretta.
Le storie dei supereroi, dopo un declino coinciso con quello dei fumetti in generale, trasformatisi in genere d’elite per adulti (gli ex bambini e adolescenti che li leggevano nelle lunghe estati di vacanza…) sono resuscitati quando lo sviluppo degli effetti speciali ne ha permesso l’approdo sul grande schermo.
Dopo questa premessa, spero non noiosa, passo ad esprimermi su due cinecomics da poco usciti: Fantastic four e Ant-man. Il primo è il quarto film, se non erro, sul quartetto formato da Mr. Fantastic, la Cosa, la Donna Invisibile e la Torcia Umana. Tratta le origini dell’ insolita squadra senza rispettare né le fonti fumettistiche né i precedenti cinematografici. La variante mi è piaciuta in quanto, al di là degli effetti speciali, notevoli secondo costante hollywoodiana, esalta la peculiarità dei “Fant four” , ovvero il “far gruppo”, che consente loro di superare i limiti individuali. I “Fant four” presi uno per uno soccomberebbero al nemico di turno, unendo gli sforzi vincono. Questa filosofia dell”uno per tutti tutti per uno” nel film viene sottolineata retrodatando in epoca adolescenziale l’acquisto dei superpoteri da parte dei componenti della squadra. Così questi condividono un percorso di formazione e progressiva presa di coscienza sull’importanza del loro sodalizio.
Con Ant-Man ci troviamo di fronte, caso tutt’altro che raro, a un film migliore del modello non cinematografico. L’Uomo Formica, capace di rimpicciolirsi a comando alle dimensioni di un insetto, è un supereroe minore, non solo nella versione italiana: difficile associare l’idea di rassicurante potenza propria del supereroe alla piccolezza. La si giri come si vuole, ma l’umanità si sente più protetta da fusti come Superman o l’Uomo Ragno piuttosto che da un omunculo come Ant-Man. Tuttavia gli straordinari ed efficacissimi poteri che Ant-man pur possiede, primo fra tutti la capacità di ottenere aiuto dalle formiche vere, grazie alle moderne tecniche digitali riescono ad essere rappresentati con un realismo di maggior impatto che nei disegni. Il film di Reed si avvale poi di un eccellente cast, esaltato dal piacevole sottofondo ironico della sceneggiatura. Citazione d’obbligo per Michael Douglas: si potrà criticarlo quanto si vuole, ma rimane un animale da macchina da presa come pochi.
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