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L’artrosi al ginocchio colpisce oltre 2,5 milioni di italiani, e gli interventi di protesi sono in costante crescita, con un aumento di circa il 10% l’anno, avvenuto soprattutto nell’ultima decade. Nel 2013 è stata raggiunta la cifra record di 70 mila impianti. Con questo nuovo dispositivo, frutto della ricerca italiana e disponibile con il SSN, sarà possibile risparmiare i legamenti crociati anteriore (il più importante) e posteriore, garantendo al paziente meno dolore, una degenza più breve, un riabilitazione più semplice e una migliore mobilità
È un piccola grande rivoluzione nel campo dell’ortopedia, che consente un approccio meno invasivo e doloroso per il paziente, e migliora drasticamente il decorso postoperatorio e riabilitativo. La protesi ‘salvacrociato’, frutto della ricerca italiana e già disponibile in molti centri pubblici e convenzionati con il SSN, è un impianto per il ginocchio di nuova generazione, che, grazie alla forma a ferro di cavallo, permette di conservare intatta la zona ossea di inserzione dei legamenti crociati. Su questa struttura metallica sono poi agganciati due inserti in polietilene che simulano i menischi naturali.
LA COMPONENTE FEMORALE- La protesi si completa con una componente femorale studiata in modo da consentire la completa estensione dell’arco di flesso del crociato anteriore, senza rischi di conflitto con le altre componenti. I maggiori vantaggi si registrano nei tempi di ricovero che si sono abbassati a non più di 24-36 ore, grazie alla riduzione delle complicanze e al dolore post-operatorio. Restano invece invariati i tempi di riabilitazione, quantificati in una ‘full immersion’ di 5-6 settimane in esercizi di recupero prima di avere la piena e autonoma ripresa delle attività professionali e socio-relazionali. La nuova protesi è stata presentata oggi a margine del congresso nazionale della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia, in corso a Roma fino al 25 novembre.
IL PARERE DELL’ESPERTO- “Gli interventi di protesi del ginocchio – spiega il prof. Ciro Villani, ordinario di Ortopedia e traumatologia all’Università ‘La Sapienza’ di Roma – sono in costante crescita, con un aumento di circa il 10% l’anno. Parliamo oggi di circa 70 mila impianti anno. Oltre ad essere aumentato il numero di persone sottoposte a questo tipo di intervento, si è anche abbassata la fascia di età interessata: l’età media si aggira ancora dai 65 anni in su, ma si stanno crescendo gli interventi sulla popolazione più giovane, maggiormente portata a svolgere attività fisica. Poter risparmiare i due crociati è certamente una rivoluzione per i pazienti perché i legamenti sono fondamentali nell’articolazione del ginocchio e deputati alla stabilità passiva. Utilizzare una protesi in grado di preservarli entrambi favorisce un migliore funzionamento dell’articolazione, quindi una ‘propriocettività’ (la capacità per il paziente di ‘sentire’ la propria articolazione) più fisiologica e naturale. Aspetto, questo, che non può essere garantito da una protesi normale, che deve svolgere anche funzione di crociato anteriore e posteriore, risultando vincolante e destinata a fallire molto prima”.
IL LEGAMENTO CROCIATO- “Il legamento crociato anteriore – spiega il dr. Bruno Violante, direttore del dipartimento di Ortopedia 2 agli Istituti Clinici Zucchi di Monza – è così fondamentale nell’anatomia dell’articolazione che a seguito di un trauma si deve necessariamente ricostruirlo, specie se si vuole continuare a praticare attività fisica. Non a caso si tratta di uno degli interventi più diffusi e comuni, ad esempio, fra i calciatori e gli sportivi, che altrimenti si vedrebbero costretti a uno stop professionale. E non a caso questa protesi è destinata soprattutto a pazienti giovani e che chiedono al ginocchio una risposta funzionale, dinamica e attiva come avviene ad esempio in chi fa giardinaggio, in chi si piega, chi ha una normale attività professionale, sessuale e socio-relazionale. In tutte queste condizioni – aggiunge il dr. Violante – avere un ginocchio quanto più possibile vicino alla normale struttura anatomica rappresenta un significativo miglioramento sia sulla qualità di vita che sulle prestazioni delle varie attività”. Un obiettivo possibile grazie al disegno a U, ossia a ferro di cavallo, della protesi e dalla particolare modalità di appoggio sulla tibia, che non vanno a intaccare la zona nevralgica centrale del ginocchio in cui si integrano il legamento crociato anteriore e quello posteriore. La combinazione di questi elementi strutturali della protesi consente di risparmiare la parte centrale di inserzione dei legamenti e quindi anche il crociato anteriore.
CONTRO L’ARTROSI- “La protesi – precisa il prof. Villani – in circa l’85% dei casi viene impiantata per ‘rimediare’ a un problema di artrosi del ginocchio. Ma la chirurgia protesica rappresenta solo l’ultima tappa di un percorso che deve essere graduale. Di norma il primo approccio è il meno invasivo possibile, con terapie mediche di tipo generale o locale. Se gli esiti sono poco soddisfacenti, si può passare alla riabilitazione di tipo strumentale, che va dalla ionoforesi alle diverse metodiche antinfiammatorie fino alla rieducazione muscolare. Solo in caso di fallimento ci si può indirizzare verso la chirurgia. Una decisione terapeutica che va sempre presa insieme al paziente, al quale deve essere fatto firmare il consenso informato quale atto di condivisione di un eventuale trattamento chirurgico. Ogni innovazione in questo campo dunque è fondamentale”.
CALO DEL DOLORE- “Pur trattandosi di una protesi innovativa e di recente introduzione – continua il dr. Violante – i primi segnali sono già chiari: si nota subito un significativo calo del dolore post operatorio, una riduzione sensibile del ricovero (24-36 ore al massimo) con grande risparmio per l’ospedale e vantaggi per la qualità di vita del paziente. Non vi sono differenze sul recupero funzionale: restano necessarie circa 5-6 settimane di riabilitazione per rientrare pienamente nelle proprie attività lavorative. L’aspetto più rilevante, dunque, è la possibilità di utilizzo in modo più naturale del ginocchio a meno di tre mesi dall’intervento. Infatti meno strutture si intaccano durante l’impianto e più ci si attiene alla struttura anatomica dell’articolazione, migliori saranno gli esiti e le sensazioni in termini di efficienza e naturalezza. La protesi è rimborsata dal Servizio Sanitario Nazionale”.
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