L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato l’ermergenza internazionale. Ma i viaggi nei Paesi colpiti non subiranno restrizioni. Ad oggi si contano circa millecinquecento morti: l’Ebola torna a far parlare di sé. Ha colpito in Guinea, Liberia e Sierra Leone. Arrivando, con casi isolati, anche in Nigeria. E ora pure in Senegal.
Sembra stato individuato il “paziente zero” dell’epidemia: si tratterebbe di un bimbo di due anni al confine tra Guinea, Sierra Leone e Liberia, dopo il quale sarebbero morti madre, sorella e nonna. Da lì due persone presenti al funerale avrebbero portato il famigerato virus nel proprio villaggio. Un infermiere ad un altro villaggio, lasciandosi via via dietro altri morti. Due americani volontari in un ospedale sono stati contagiati e si stanno curando con un test sperimentale. L’Europa si dice pronta a combattere l’epidemia di Ebola considerata dall’Oms la peggiore degli ultimi 40 anni. Si parla di un possibile vaccino per il 2015. Ma quanto c’è da allarmarsi per un suo eventuale arrivo in Italia? Lo abbiamo chiesto a Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università di Milano.«Dopo le “bruciature” sulla comunicazione che sono state prese rispetto all’aviaria, quando si destò allarme rispetto ad un virus che non fu poi così letale, è difficile parlare di questi problemi, che non bisogna sminuire, ma neppure enfatizzare».Partiamo dal virus.«L’Ebola la conosciamo dagli anni 70. E’ caratteristica di posti rurali, isolati e si tratta di una zoonosi, cioè proveniente da animali, in particolare da alcuni pipistrelli e scimpanzè. Provoca una febbre emorragica, con danni al fegato e ai reni. Ha una letalità che arriva fino al 90% e attualmente ci sono circa 60 focolai nei tre Paesi colpiti».La diffusione?«E’ piuttosto contenuta. Sia perché la trasmissione avviene attraverso fluidi biologici e non per via aerea. Sia perché il contagio viene fatto solo da una persona che presenta già i sintomi, questo consente ovviamente di controllare il fenomeno. Tantopiù che i sintomi si manifestano in quattro giorni, quelli dopo i quali chi ne soffre in linea di massima muore».In Italia?«E’ molto difficile che possa arrivare in Italia, sia perché non ci sono voli diretti tra il nostro Paese e quelli colpiti, sia perché, quand’anche arrivassero attraverso un viaggio clandestino, chi è stato colpito morirebbe durante il tragitto. E comunque qui si farebbe in tempo, differentemente da quanto accade là, a bloccare la catena del contagio grazie alle strutture ospedaliere che abbiamo. Ecco, l’unico accorgimento che dobbiamo adottare subito è questo, attrezzandoci anche grazie ai due massimi ospedali sul settore che abbiamo in Italia, il Sacco di Milano e lo Spallanzani di Roma».Cure ne esistono?«Al momento no. Si tenta di limitare i danni delle emorraggie che sono però molto forti. Si stanno usando, come nel caso del paziente americano, anticorpi estratti dal sangue di chi è sopravvissuto al virus».Com’è cambiato il virus rispetto al passato?«E’ diventato meno cattivo e quindi si è diffuso di più. Mi spiego: se la letalità scende dal 90% al 70% o se non uccide più in 2 giorni ma in 4 è più facile che il virus si diffonda. Così, se prima il contagio si limitava ad un solo villaggio isolato, ora è stato possibile che ne abbia raggiunti altri».Il virus potrebbe mutare tanto da diventare contagioso per via aerea?«Tutti i virus si adattano e, nel replicarsi, variano per colpire meglio il bersaglio. Potenzialmente sì, l’Ebola potrebbe mutare, ma è molto remota la possibilità che possa variare a tal punto da cambiare la forma di contagio. Sarebbero troppi i mutamenti da compiere rapidamente».Lei come ritiene ci si debba comportare?«Con la prevenzione e gli accorgimenti sanitari. Qualche anno fa arrivò anche in Italia la Chikungunia o febbre spaccaossa, giunse fino a Rimini. Il contagio arrivava attraverso le zanzare. Grazie ad una barriera sanitaria ben fatta la si è isolata».Perché in 40 anni non si è ancora trovato un vaccino?«Perché l’Ebola è tutto sommato considerata alla stregua di malattie rare. Trovare un vaccino significa impiegare enormi risorse scientifiche ed economiche anche da parte delle case farmaceutiche. Per questo è più facile che una risposta per la cura arrivi da farmaci sperimentali». Manuel Montero