Angelo Stazzi, l’infermiere killer, è stato condannato all’ergastolo. Fronte del Blog è andato alla ricerca delle inquietanti storie dei tanti Angeli della Morte che hanno affollato l’Italia e il resto del mondo. Infermieri, medici e becchini.
Lo hanno già ribattezzato l’Angelo della Morte. Un soprannome che riporta alla mente tanti, troppi casi di serial killer nascosti sotto il rassicurante camice bianco di un infermiere. Ma che fa gioco, oltre che sulla sua professione, sul suo vero nome: Angelo. O meglio Angelo Stazzi. Secondo gli agenti dell’Unità Delitti Insoluti della squadra mobile di Roma, Stazzi, 66 anni, aveva ucciso in effetti sette volte. Sette anziani tra i 70 e i 90 anni, ricoverati nella casa di cura Villa Alex di Sant’Angelo, a due passi da Roma.
ERGASTOLO- I giudici, in primo grado, lo hanno condannato all’ergastolo per cinque di quei casi. In casa, custodito in una vetrinetta, Stazzi aveva un kit per la somministrazione di insulina. Il che, probabilmente, potrebbe non lasciare troppo sorpresi data la sua professione. Se non fosse che gli anziani sono tutti morti per una “grave ipoglicemia determinata dalla somministrazione di farmaci”. E cioè proprio insulina.
IL PARERE DELLA CRIMINOLOGA- «Il modus operandi dell’assassino era, in base alle ricostruzioni, sempre lo stesso: entrava in confidenza con gli ignari pazienti, iniettava loro psicofarmaci per abbassare le difese immunitarie e poi gli somministrava massicce dosi di insulina. Mirava così a compiere il delitto perfetto: da infermiere, infatti, sapeva che il tasso di insulina nel sangue non è più rilevabile una volta che la persona è morta. Gli inquirenti hanno iniziato a sospettare di tutte quelle morti proprio perché una delle vittime, prima di morire, era stata ricoverata in ospedale e sul suo sangue era stata riscontrata una quantità di insulina cinquanta volte superiore al normale. Da qui una serie di testimonianze e intercettazioni a suo carico. Ed è emerso che chiamava continuamente nella struttura dove erano ospitate le sue vittime spacciandosi per medico, informandosi sul loro stato di salute e insistendo affinché gli venissero somministrati psicofarmaci e insulina. Da parte sua, ordinava continuamente grossi quantitativi di insulina, di gran lunga maggiori a quelli effettivamente necessari alla casa di cura. Continua a proclamarsi innocente». Sono le parole della criminologa Roberta Bruzzone, che ha letto gli atti in qualità di consulente di una parte civile, figlie di una delle presunte vittime dell’infermiere.
IL MOVENTE- «Resta da chiarire il movente, il perché Angelo Stazzi avrebbe ucciso queste persone che da lui si aspettavano solo cure e assistenza. Pare che Stazzi, nato il giorno di Natale, si sentisse in un contatto particolare con Dio, che gli avrebbe dato facoltà di decidere della morte delle altre persone. Ma ad oggi le indagini sono ancora in corso. In particolare, al vaglio degli inquirenti ci sono altri tre casi di morti sospette avvenute nel 2008 nella casa di cura Cristo Vive. In quel periodo Angelo Stazzi lavorava proprio lì».
IL PRIMO DELITTO- Quel che è certo è che Stazzi in prigione c’è già, per l’omicidio di Maria Teresa Dell’Unto, una sua ex collega di 58 anni, scomparsa senza motivo nel nulla il 29 marzo 2001. Poco dopo i famigliari ricevettero un telegramma in cui la donna sosteneva di star bene. E il suo bancomat prelevò denaro in diversi punti della Capitale. Qualcosa non quadrava. Vennero fatte indagini su Stazzi. «Lei, – prosegue la Bruzzone – gli aveva prestato molti soldi nel corso degli anni e lui non glieli aveva mai resi. Fu interrogato, ma poi la sua posizione venne archiviata». Diversi anni dopo, il 29 ottobre 2009 Stazzi fu arrestato: alla base del delitto, per l’accusa, c’era proprio la questione economica. Un mese più tardi, l’infermiere fece ritrovare i resti della donna sepolti nel giardino di una sua abitazione a Montelibretti. «L’uomo – conclude la Bruzzone- ha confessato di averla uccisa, ma sostiene che si sia trattato di un incidente: secondo la sua versione, tra i due sarebbe scoppiata una lite perché lei lo minacciava di rendere pubblica la loro storia. A quel punto lui le avrebbe tirato un ceffone e lei, cadendo, avrebbe sbattuto la testa contro uno spigolo. Purtroppo resta il fatto che quando la sua posizione fu archiviata era il 2005. I sette delitti che gli erano contestati riguardavano tutti i primi dieci mesi del 2009. Ed è certo che, se fosse stato fermato prima, oggi non ci troveremmo davanti di fronte a queste morti sospette».
IL CASO CALEFFI – Sospette e stavolta senza movente. Una storia, l’assenza di un vero movente, che ricorda quella di un altro camice bianco, Sonya Caleffi, infermiera dell’ospedale Manzoni di Lecco. Era il 2004 quando un’indagine fu avviata per l’aumento esponenziale di morti nel reparto di Medicina in cui lavorava. E Sonya confessò. Ma non esattamente ciò che ci si sarebbe aspettato. Disse che lei voleva solo creare l’emergenza, per poi intervenire e risolvere il caso. Per questo iniettava bolle d’aria ai pazienti. L’accusa le contestò quindici omicidi, ma fu condannata per cinque, a vent’anni. Recentemente si è sposata in carcere con un altro detenuto, segue un supporto psicologico.
L’INFERMIERE DI SATANA- Non confessò invece mai e ha sempre gridato al complotto ai suoi danni Alfonso De Martino, passato alla storia come “l’infermiere di Satana”, condannato all’ergastolo per aver provocato la morte di tre pazienti dell’ospedale San Giuseppe di Albano, Roma, tra il 1990 e il 1993. Fu la riesumazione delle loro salme a rivelare che erano tutti morti per iniezioni di Pavulon, un farmaco a base di curaro. E quando le indagini andarono su De Martino, alcuni testimoni lo descrissero come un uomo che andava in giro con medaglioni e anelli che raffiguravano il diavolo. O che prediceva giorno e ora della morte dei pazienti del suo reparto. Si parlò di una setta satanica, ma il fatto non trovò conferma. Restò il soprannome, appiccicato ad una condanna che lui ha sempre contestato.
L’INFERMIERE KILLER- La stessa cosa che fece Antonio Busnelli, che di soprannome, per via delle mance che prendeva dalle pompe funebri segnalando il decesso di un paziente, ne aveva un altro. «Ci collaboravo perchè lo stipendio era quel che era. – disse ai giudici – So che mi chiamavano il becchino ma credevo lo dicessero in buona fede». Divenne poi noto come l’“infermiere killer”. Fu accusato di aver provocato la morte di un paziente grave iniettandogli farmaci non prescritti. Lo scopo: accelerarne la morte per intascare, sostenne il pm nella requisitoria, la “mancia” dalle pompe funebri. Ma la condanna definitiva, a 16 anni e 8 mesi, escluse almeno questi “motivi abbietti”.
GLI ANGELI DELLA MORTE ALL’ESTERO- Gli “angeli della morte” si trovano un po’ in tutte le parti del mondo. Si tratta spesso di una particolare categoria di serial killer, ognuno dei quali ha un suo modus operandi. E luoghi particolari in cui agire. In Austria, Stefania Mayer, Maria Gruber, Irene Leidol e Waltraud Wagner, infermiere ausiliarie dell’ospedale viennese di Lainz, confessarono di aver ucciso di aver ucciso dal 1982 al 1989 decine di persone con iniezioni di insulina o con forti dosi di calmanti. Vuoi per dar loro l’eutanasia, vuoi per la simpatia o antipatia del paziente. Due ebbero l’ergastolo, una vent’anni, l’altra 15. I morti acclarati furono 41.
QUATTRO BIMBI MORTI- Beverly Allitt, infermiera inglese dell’ospedale di Grantham, iniettò invece insulina e clorido di potassio a diversi bimbi tra le sette settimane di età e gli undici mesi, provocando la morte di quattro di loro. Per questi delitti, per lesioni gravi ad altri sei e per aver tentato di ucciderne ancora tre, fu condannata a 13 ergastoli. Ma non ci sono solo infermieri.
IL DOTTORE DEL CURARO- Se c’è qualche medico che pensa che i serial killer possano essere curati, altri medici hanno pensato di entrare a far parte della categoria criminale. Il dottor Arnfinn Nesset, direttore della casa di riposo di Orkdal. Poco dopo erano iniziate le morti sospette. L’arma, il curacito, derivato del curaro. Si sentiva un dio, padrone della vita e della morte. Alla fine confessò di non sapere nemmeno quante persone avesse ucciso. Arrivò a ricordarne 138, poi ritrattò. Fu condannato per 22 delitti, e nel 2004, dopo 21 anni, uscì di galera rifugiandosi in località segreta.
IL DOTTOR MORTE- Ma, al di là di serial killer controversi, il “dottor morte” più famoso è senz’altro l’inglese Harold Shipman. Traumatizzato dalla morte per cancro della madre i cui dolori venivano leniti dalla morfina, usò la morfina da medico di famiglia per uccidere un numero imprecisato di volte. Fu condannato per 15 delitti, ma in trent’anni di carriera, alcuni arrivarono ad attribuirgliene tra i 215 e 345. I conti furono interrotti nel 2004, quando Shipman, all’ergastolo, s’impiccò nella sua cella.
Manuel Montero